Modiano balla leggero nel teatro dei ricordi

Modiano balla leggero nel teatro dei ricordi
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Con Modiano, bisogna tenere il libro ben saldo tra le mani. La pagina fisica è l'unico uncino cui possiamo agganciare il pensiero. La capacità di dilatare e rastremare il tempo e lo spazio, l'estetica della sfocatura, della vaghezza che lo ha reso uno scrittore sperimentale lontano anni luce dai cliché sperimentalisti, imbevuto di charme e apparizioni, si mostra in questo suo ultimo La ballerina (Einaudi, traduzione di Emmanuelle Caillat, pagg. 96, euro 16, splendida copertina à la Degas) al suo colmo. Il protagonista è Modiano, anche se non si può dire: scriveva, quando incontrò la ballerina la prima volta, e scrive oggi, ricordandola. O forse, non ricordandola: "Certi particolari rimangono abbastanza precisi. Bisognerebbe farne un elenco. Ma sarebbe molto difficile seguire l'ordine cronologico. Il tempo che ha offuscato i volti ha anche cancellato i punti di riferimento. Restano alcune tessere di un puzzle, separate le une dalle altre per sempre". La ballerina, tutti la chiamavano solo così, era la madre di Pierre, il bambino che lo scrittore era andato a prendere per riportarlo a casa, in una sera di novembre o dicembre.

Palazzi di Parigi, tutto intorno al ricordo: a nord ovest il portone massiccio e uno di quegli ascensori con le ante a vetri lento e silenzioso nel palazzo dove i bambini amici di Pierre danno una festa di compleanno; a Porte de Champerret il cancello del grande complesso di palazzi in mattoni rossi, con le scale di cemento dove abita la ballerina; un palazzo in una via vicino alla Madeleine, con una camera mansardata e minuscola, in fondo a un lungo corridoio dove la targhetta smaltata da raggiungere è la numero 23, legata al misterioso amico del padre di Pierre dall'eleganza sospetta, Serge Verzini, e al suo bar; la camera dello scrittore, in rue Chaveau-Lagarde, dove il termosifone è difettoso mentre l'inverno si avvicina. E poi i ricordi più grandiosi: gli interminabili esercizi delle lezioni della ballerina allo studio Wacker, che valgono più di qualsiasi viaggio al mondo, e il cinema Rex. In una sala all'interrato si svolgono le prove di Le train des roses, il balletto preferito dalla ballerina. Lo scrittore l'accompagna, sta al suo ritmo, si fida di lei, vive alla giornata, si lascia trasportare, legge e ogni tanto scrive o aggiunge capitoli al libro di un altro.

Forse è vero che questo premio Nobel 2014 scrive sempre lo stesso libro: sublime, tuttavia, la capacità di replicare il sublime, di appannare, per l'ennesima volta, il vetro che ci separa dalla scena, fino a farlo sparire. Tutto avviene dentro una successione di fotografie, dove vediamo solo quello che Modiano, l'ultimo testimone di ogni cosa, ha deciso di inquadrare. Dobbiamo, vogliamo, immaginare tutto il resto. Chi sia davvero la ballerina e che relazione ha avuto con lo scrittore. Chi siano gli spettri di questa storia: quelli illustri, come Nureyev, Margot Fonteyn, Babilée, Jena Pierre Bonnefous, Yvette Chauviré, Jorge Donn, Béjart. Quelli enigmatici, come il padre di Pierre, che se ne va consegnando alla ballerina una valigetta di pelle piena di mazzette.

E quelli spaventosi, come l'uomo dallo sguardo spento che appare alla ballerina per le strade di Parigi, tra terrore e vertigine. Fino all'ultima pagina, ci resta molto da immaginare: la danza ha fatto dimenticare tutto a lei, la scrittura non può rievocare tutto per lui...

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