Francesco «Chicco» Molinari ha compiuto 26 anni sabato scorso 8 novembre. E, quasi in concomitanza con il giorno di festa, diciamo poco prima, ha concluso in maniera lodevole la sua quarta stagione da professionista del «green». Il numero 1 del golf italiano, 20° al Volvo Masters di Valderrama in Spagna - gara di chiusura del Tour europeo 2008 - nel lotto dei migliori 60 ammessi e 24° nell'ordine di merito continentale, che include oltre 300 giocatori, ha messo in banca un'annata (la sua record) da circa 880.000 euro.
Parlandone con lui, Francesco osserva che «i soldi fanno comodo e classifica, non cè dubbio. Ma il mio 2008 europeo mi soddisfa in particolare perché mi sono migliorato in tutte le aree di gioco. Secondo in Germania, terzo in Cina, quarto in Galles, mi è mancato, questo sì, l'acuto della vittoria». E infatti il suo solo successo (per ora) è legato all'Open d'Italia di tre anni fa a Tolcinasco. Poi si piazzò terzo. Quest'anno, sempre a maggio, ha pagato il taglio. Amara la sua dichiarazione di allora: «Nel golf può succedere, pure se non è bello. Forse ho saldato qualche debito alla fortuna che, anche nel mio mondo, a volte può essere decisiva».
L'icona del nostro golf moderno è ferma all'immagine di Costantino Rocca, il più grande di sempre, all'ombra del quale sono fiorite certe forti promesse: la prima, quella di Emanuele Canonica, soltanto in parte mantenuta, stando ai fatti. Dunque è Francesco Molinari, adesso, l'icona di ricambio e per questo giusto a lui pongo un problema di fondo: quello di un mancato rigenerarsi, ai vertici da podio e con autorevole continuità, del golf italiano da parte delle nuove leve.
Perché il nostro golf fa tanta fatica a dire la sua attraverso le generazioni nuove? I nostri giovani, magari saltando il fosso profondo che divide il dilettantismo dal professionismo, scoprono forse di non avere molta confidenza con il grosso sacrificio personale e la fatica? Oppure mancano da noi i veri talenti extralusso che nascono altrove? E se ci fossero anche difetti di ambiente e di scuola? Questa la diagnosi di Molinari: «Probabilmente la combinazione dei perché nasce dalla intera proposta di interrogativi. Una risposta secca non mi sembra possibile. Il passaggio dal dilettantismo al professionismo è difficilissimo e non comporta successi automatici. Da noi non mancano i talenti, mancano i numeri, che sono inferiori, ad esempio, a quelli svedesi e spagnoli: a fronte di cento spagnoli che promettono noi rispondiamo con dieci italiani e dunque la sproporzione di investimento nel successo è evidente. C'è pure da dire che il peso della nostra tradizione golfistica è inferiore a quello che si avverte in altri Paesi. In Inghilterra il golfista e il calciatore sono considerati allo stesso livello sportivo, da noi non cè la cultura del golfista inteso come sportivo che fatica. L'ambiente: in tanti nostri Circoli la mentalità non è molto formativa sul piano sportivo, perché il golf lo si interpreta più come un passatempo che uno sport. È peraltro chiaro che certi nostri talenti darebbero di più se lavorassero di più. È la molla delle motivazioni estreme che c'è o non c'è. Concludo come avevo cominciato: l'intreccio dei perché è complesso».
Prospettive? Purtroppo non possiamo che rifugiarci in un vedremo. Soltanto un paio di certezze, per quanto riguarda la stagione golfistica del Tour europeo 2009 appena cominciata in Cina: dal 20 al 23 novembre Francesco Molinari riprenderà la sua corsa all'Open di Hong Kong e dal 27 al 30 rappresenterà l'Italia con il fratello Edoardo nella Coppa del mondo in Cina.
Un'ultima domanda a «Chicco»: l'Open d'Italia 2009 traslocherà da Tolcinasco al Royal Park di Torino del rampante Andrea Agnelli... «Ho saputo... Per me sarà emozionante giocarlo in casa e magari fare festa proprio lì». Auguri.
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