Quello che di recente se l’è vista più brutta è Gyanendra, re del Nepal. Dopo sedici giorni di sciopero generale, proteste di massa, quindici morti sicuri e centinaia di feriti, ha dovuto cedere i suoi poteri al popolo e chiedere ai partiti di opposizione di indicare un candidato per l'incarico di primo ministro. Non è detto però che basti per conservare il posto. Ma anche re Tupou IV non se la passa bene. I centodiecimila abitanti delle isole Tonga, cioè poco più degli spettatori di uno stadio di calcio radunati in un territorio due volte l’Italia, si sono ribellati: non vogliono più presentarsi al cospetto del sovrano camminando a quattro zampe per poi baciargli il piede. In 10mila hanno marciato per le strade della capitale invocando democrazia. Sua maestà, guardandosi gli alluci, ha ammesso bontà sua che sì, qualcosina forse è anche ora di cambiarla. Insomma sarà anche vero che non c’è più religione ma anche la monarchia, a guardar bene, a volte c’è e a volte non c’è. In tutto il mondo resistono una trentina di regni e molti se la passano male: «Fra qualche anno non resteranno che cinque re - profetizzava re Farouk - i re di cuori, picche, quadri, fiori. E la regina d’Inghilterra...». Unica eccezione: re Bhumibol Adulyadej di Thailandia. Giusto ieri ha festeggiato il mezzo secolo di regno, non c’è nessuno al mondo che abbia fatto meglio di lui. Ha visto passare più di venti primi ministri, sedici costituzioni e diciassette colpi di Stato. Ma di pensione neanche a parlarne.
A cosa servano le monarchie in pieno terzo millennio non è poi così chiaro. Dovrebbero sigillare l’unità del Paese, riunire in una identità diverse, rappresentare un riferimento per il popolo. Ma il più delle volte rappresentano solo se stesse, musei viventi della storia di una nazione, spesso per niente uguali l’una con l’altra, diverse come sono diversi i bisogni a cui devono rispondere. L’Arabia per esempio è una monarchia assoluta dove a regnare più che il sovrano è la sharia, la legge islamica, il Giappone una monarchia sacra nonostante l’imperatore abbia rinunciato senza crederci troppo alla condizione divina, la Danimarca era già nel futuro a metà Ottocento quando si organizzò in monarchia costituzionale, la Gran Bretagna anche più in là, una monarchia parlamentare con sovranità tutta nelle mani delle Camere. Ma i nemici del re oggi sono tanti e quasi tutti nascosti a palazzo. Tanto per dirne uno: non tutti i re per essere re obbediscono ormai alla severa etichetta di corte. Il re di Malesia per esempio è l’unico sovrano al mondo eletto ai voti: ogni cinque anni, come una legislatura, i reggenti ereditari scelgono chi mettere sul trono di Sandokan. E se ieri un laico, il caudillo Francisco Franco, si concedeva il lusso di incoronare re di Spagna Juan Carlos di Borbone, oggi Simeone di Sassonia-Coburgo Gotha viene eletto dal popolo premier della repubblica di Bulgaria dopo essere stato spodestato come re.
A minare la purezza del casato sono state anche le popolane. Haakon, erede di Norvegia ha sposato Mette Marit, ragazza madre dal passato ribelle, accogliendone a Palazzo Reale anche il figlio avuto da un altro. Federico di Danimarca, la bella manager australiana Mary Donaldson, figlia di un professore di matematica, il principe del Belgio Laurent l’agente immobiliare inglese Claire Coombs, e Guglielmo Alessandro d'Olanda si è buttato sull'argentina Maxima Zorreguieta, alta, bionda, lentigginosa ma, orrore orrore, figlia di un ministro della dittatura del generale Videla. Per non parlare di Johan Friso che ha addirittura rinunciato al trono d’Olanda per Mabel Wisse Smith, direttrice dell'Open Society Institute di Bruxelles, per colpa delle amicizie di lei un po’ troppo equivoche. Insomma a palazzo regna la confusione e del doman non c’è certezza. Tanto per fare un esempio.
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