Sono sempre i particolari a fare la storia e quella di Arnoldo Mondadori e della casa editrice che porta il suo nome potrebbe essere scritta attraverso piccoli episodi che sicuramente evitano di cadere nella retorica celebrativa. Si potrebbe partire dal diploma di V elementare del figlio di un ciabattino di Poggio Rusco, nell’oltrepò mantovano, poi garzone di drogheria, venditore ambulante con cavallo e carretto e quindi tipografo, che nel 1907 diventa editore e stampa la rivista anarco socialista Luce! Si potrebbe parlare della terzina dantesca In su la cima (avvolta sullo stelo di una rosa piena di spine), scelta dal poeta ligure Francesco Pastonchi come motto della casa editrice. Si potrebbe raccontare che Aia Madama di Tomaso Monicelli, uscito nel 1912, fu in assoluto il primo libro dell’avventura di Arnoldo Mondadori e da lì prese avvio la moderna industria editoriale italiana.
I 100 anni della Mondadori si possono anche raccontare per fotografie, come hanno deciso di fare a Segrate. Ne hanno raccolte 4000 in 840 pagine per dare vita a un mastodontico volume: Album Mondadori 1907/2007. Ideato da Gian Arturo Ferrari e supervisionato da Rossella Citterio e Roberto Briglia, parla da solo, attraverso le didascalie asciutte, senza censure e senza imbarazzi anche dei periodi più critici, quello fascista e quello della guerra editoriale tra De Benedetti e Berlusconi per il controllo della casa editrice e il «drammatico passaggio di proprietà» come ha detto Ferruccio de Bortoli che ieri ha moderato il dibattito per la presentazione dell’Album tra Paolo Mieli, Ezio Mauro, Roberto Briglia e Gianni Ferrari.
Impossibile riassumere un secolo di avventura editoriale, dagli anni Trenta con l’intuizione dei gialli, le prime collane per l’infanzia, Topolino, le edizioni della Medusa (finestra sulla cultura internazionale nell’Italia autarchica), al dopoguerra i settimanali, la fantascienza con Urania, i femminili, gli Oscar.
Certo, se è impossibile spiegare tutto questo nei dettagli si può però raccontare come la Mondadori non abbia mai tradito la sua vocazione iniziale, che era popolare ma di qualità, incarnata nel motto di fare tutto per tutti con un catalogo enorme, popolare ed esclusivo. Come ha messo in evidenza Maurizio Costa, vicepresidente e amministratore delegato della casa editrice di Segrate: «L’industria editoriale concepita originariamente dal fondatore coniugava, come ora, qualità e modernità dei prodotti con una visione non elitaria della cultura».
La chiave dei cento anni di Mondadori Editore l’ha riassunta Gianni Ferrari leggendo le parole dello stesso Arnoldo in una lettera a Virgilio Brocchi del 1937: «Sono il consigliere delegato di una piccola società editrice nata in Ostiglia, cresciuta a Verona. Ho stampato fino ad ora solamente, o quasi solamente, libri scolastici. Ho una grande ambizione: dare all’Italia la bella casa editrice che ha diritto di avere. Non ho bisogno di danaro: ho solo bisogno di simpatia».
Simpatia. Ne ebbe molta Arnoldo per i suoi autori, coccolati, vezzeggiati e strapagati (leggendarie le novemila lire a Gabriele D’Annunzio) che ammaliava con la parlantina e il suo carisma, da cui l’abusato soprannome di incantabiss (incantatore di serpenti). La sua casa di piazza Duse a Milano (in affitto perché Arnoldo non faceva mai il passo più lungo della gamba) e la villa di Meina erano sempre aperte agli scrittori, che talvolta vi soggiornavano per giorni: le bevute di Hemingway, le chiacchiere con Thomas Mann, Piovene, Montale, Soldati, D’Annunzio.
Che Mondadori sia l’editore che ha fatto l’Italia lo si può dire senza paura di cadere nella retorica. E a questo proposito ci piace riportare le parole (finora inedite) che gli indirizzarono tre dei suoi autori più prestigiosi in occasione del cinquantesimo anniversario della casa editrice, nel 1957. Elio Vittorini gli riconosce il merito di «produrre sempre più vaste categorie lettori» tanto che «si potrebbe considerare l’attività della Mondadori come dello stesso tipo di quella svolta dalle scuole pubbliche (elementari, medie e universitarie)». Forse ancora più lusinghiere le parole del poeta Ungaretti: «Fu nel 1942. Arnoldo volle accogliermi tra i suoi autori, e da quel giorno la mia poesia, che dicevano ermetica, s’è fatta popolare. Era sempre stata, come ogni buona poesia, segreta e anche popolare. Ma per farlo capire a tutti, ch’era anche popolare, ci voleva un miracolo, uno di quei miracoli che solo l’editore Mondadori sa campiere».
Ma si capisce cosa abbia significato la Mondadori, le sue edizioni popolari, le sue collane, i suoi periodici, leggendo anche le parole di questo testo inedito di Maria Bellonci: «Per telegrafare a Milano, chiamai una sera al telefono la signorina addetta ai telegrammi; mi rispose come al solito martellando la voce, professionalmente astratta. Cominciai a dettare l’indirizzo: “Arnoldo...”. “Come?”. “Arnoldo” scandii accuratamente. “Arnoldo come Mondadori?” chiese quella dea dell’indifferenza. “Infatti: Mondadori”.
Così il nome di Arnoldo suggella il suo mito».Ecco, forse rischiando di cadere nell’inevitabile trappola della retorica, non si esagera a dire che Arnoldo è stato l’inventore di un nuovo modo di fare cultura e la Mondadori la casa dei lettori italiani.
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