Il mondo dell’arte è impazzito? La colpa è dei nuovi miliardari

Crescono i collezionisti cinesi e russi, le ultime aste sfondano ogni record. Per «Time» è anche il segno che l’economia Usa tira

Stefania Vitulli

E uno e due e tre: tutti offrono di più, il martelletto è impazzito. Il mondo dell’arte moderna e contemporanea è scosso da una serie infinita di colpi: negli ultimi quindici giorni si sono verificate aste che hanno battuto ogni record mondiale e hanno consolidato una tendenza che promette di durare ancora per un po’. Lo sport preferito dall’uomo, di solito finanziere sul mercato «globale» e preferibilmente anonimo, è l’acquisto di opere d’arte. Il 2006 ha visto susseguirsi una serie di primati assoluti, l’ultimo dei quali - l’evento di Christie’s a New York la sera dell’8 novembre - ha cambiato il corso delle valutazioni d’asta, al punto da far pronunciare agli esperti la fatidica parola: big bubble, grande bolla.
Quel che più colpisce è la spettacolarità del fenomeno. La serata dell’8 novembre ha coinvolto, nella più grande asta della storia, che ha totalizzato un ricavato di 491 milioni di dollari, un pubblico in carne e ossa di migliaia di spettatori, accorsi per assistere a uno straordinario show di due ore e mezzo, in cui l’adrenalina è salita alle stelle di continuo. Per il lotto 54, il Ritratto di Adele Bloch-Bauer II - il dipinto del 1912 di Gustav Klimt conteso da quattro acquirenti telefonici anonimi che si è aggiudicato il più alto riscatto della serata, 87,9 milioni di dollari - il martelletto di Christopher Burge, presidente onorario di Christie’s e gran battitore della serata, procedeva a colpi da 500mila dollari l’uno. Su 84 lotti in vendita - tra cui Kirchner, Gauguin, altri Klimt (e il Ritratto di Angel Fernandez de Soto di Picasso appartenente a Andrew Lloyd Webber ritirato dall’asta il giorno prima per un contenzioso sulla proprietà) - soltanto sei non sono stati aggiudicati e forse questo è il record più significativo, poiché indica che gli acquirenti non vogliono andarsene a mani vuote, che il mercato tira, che il denaro c’è e che lo si vuole investire. A tutti i costi. Lo conferma Time, che sul numero di questa settimana fa del fenomeno una cartina di tornasole per monitorare lo stato di salute dell’economia americana: è un momento propizio come quello che negli anni Ottanta condusse alle stelle i prezzi dei Van Gogh grazie ad acquirenti come gli allora multimiliardari Alan Bond, australiano, e Ryoei Saito, giapponese, che si aggiudicò il Ritratto del dottor Gachet per 82,5 milioni di dollari o come quello che alla fine degli anni Novanta portò i nuovi ricchi della new economy, con le tasche gonfie di soldi fatti con le dotcom, verso la pop art.
Oggi gli attori sul mercato sono altri: una nuova generazione di milionari in dollari che viene dagli hedge-fund e i plutocrati cinesi e russi, tutti portatori di un enorme flusso di capitali che si sta riversando nelle gallerie d’arte e nelle case d’asta. Le dichiarazioni degli intermediari commerciali sono stupefacenti: «I prezzi raggiunti hanno lasciato tutti noi a bocca aperta» ha affermato Dominique Levy, mercante d’arte di New York, in occasione delle ultime aste di Christie’s e Sotheby’s. «Le offerte piovevano da ogni parte». Se è vera quella legge di mercato per cui a ogni picco corrisponde prima o poi un ribasso clamoroso, con conseguente esplosione della bolla, allora conviene tenere d’occhio i movimenti dei grandi attori finanziari, che certamente conoscono il momento in cui comprare e vendere. Uno di questi è il magnate di Hollywood David Geffen, che non più di dieci giorni fa si è intascato, a un’asta privata, la più alta cifra mai pagata per un dipinto: 140 milioni di dollari. Il ricavato dell’opera in questione, N°5, 1948 di Jackson Pollock, così come quello realizzato alcune settimane prima dallo stesso Geffen dalla vendita di due dipinti del dopoguerra di Jasper Johns e Willem de Kooning, 143,5 milioni di dollari, pare vada a rimpinguare le riserve accumulate per l’acquisto del Los Angeles Times. D’altra parte nel giugno di quest’anno, il big della cosmesi Ronald Lauder si aggiudicava, per la Neue Galerie di Manhattan, il quadro (in quel momento) più caro della storia: il Ritratto di Adele Bloch-Bauer I di Klimt. E c’è chi dice che possa essere lui il compratore del «Ritratto II» venduto l’8 novembre da Christie’s.
Se ad aver ragione sia chi compra o chi acquista ancora non si sa, ma almeno una cosa è certa: ciò che spinge gli acquirenti americani a spese folli per un quadro non sono più le agevolazioni fiscali. Se fino ad agosto 2006, infatti, era sufficiente per un compratore donare a un museo una proprietà parziale - dal 10 al 20% - dell’opera acquistata per poterne dedurre dalle tasse la corrispondente percentuale sul valore (e man mano che il valore stimato cresceva, cresceva la deduzione), l’amministrazione Bush ora ha reso le cose più difficili, approvando una legge che prevede che il museo diventi proprietario definitivo entro dieci anni e che la percentuale della deduzione sia bloccata sul prezzo dell’opera stimato al momento della donazione.
La consulente d’arte Patricia Ciaffa Pyser, che sussurra alle orecchie di parecchi grandi investitori la giusta mossa, ha dichiarato a Time che «investire nell’arte non è come vendere e comprare scarpe. Il senso di meraviglia e immortalità suscitato dalle opere è unico. E trascende gli affari». Sarà, ma anche il collezionista più sentimentale ha bisogno di una guida, in momenti di grande agitazione del mercato come questo.


Lo ha capito anche Sotheby’s, che, per creare nuovi collezionisti «consapevoli», organizza corsi intensivi di tre giorni con conferenze, discussioni di gruppo, consulenze d’investimento e visite guidate alle aste. Quota di partecipazione: 1.200 dollari. Cataloghi d’asta inclusi, naturalmente.

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