Il cantore del pessimismo, «il salice piangente della filosofia», ci sapeva fare con le donne: le conquistava, e non solo con il suo fascino intellettuale. Luomo che fece propria la massima di Biante (scolpita sotto il suo busto, in Vaticano) e cioè «la maggior parte degli uomini è cattiva», nella vita privata era galante, persino ballava, si strusciava contro nobildonne e borghesucce veneziane, berlinesi e romane, e apprezzava le risate, proprie e altrui. Parliamo di Arthur Schopenhauer. Su questi aspetti meno noti della sua vita sta per uscire un divertente e documentatissimo libro di Anacleto Verrecchia: Schopenhauer e la Vispa Teresa (Donzelli, pagg. 210, euro 14).
La Teresa in questione è una bella veneziana che cantava «le cansonete» e probabilmente lavorava in qualche teatro (a quei tempi, allinizio dell800, cerano a Venezia più teatri che a Londra e a Parigi). Teresa Fuga riuscì ad acchiappare non una «farfalletta», come dice la canzone, ma unaquila della filosofia, il pensatore che duramente avversò l«antipatico» Hegel, che fu amico ed estimatore dell«egoista» Goethe, ed è passato alla storia come pilastro del pensiero dell800 con Il mondo come volontà e rappresentazione (allinizio un flop editoriale, riscoperto e giustamente valutato solo dieci anni dopo). Teresa la incontrò, e la amò, nel primo dei suoi due viaggi in Italia. Il nostro Paese fu come un balsamo per il filosofo. Lo ammise lui stesso: «In Italia apprezzai non solo il bello, ma anche le belle». Per dirla con una metafora, Schopenhauer non si accontentava di sapere che ora è, ma voleva anche vedere come è fatta la torre dellorologio. Peccato, come annota Verrecchia, che si nasconda, che dica sempre poco di sé, che sia abbottonatissimo sui suoi amori anche se allude al fatto che ne abbia avuti tanti. Non sgarrava: «Non voglio che la mia vita privata fornisca esca alla curiosità fredda e maliziosa del pubblico».
Luomo che diceva «ho insegnato che cosa sia un santo, ma non ho detto che lo sia io», era basso di statura, non bello anche se con occhi interessanti. Ma ci sapeva fare con le donne. A Venezia trascura di frequentare Byron - un altro scuotitore di materassi, «il cottimista sessuale» - a favore della sua Teresa, un po ignorante, ma ovviamente provvista di grande freschezza sensuale. Certi maliziosi tedeschi dissero che Teresa era una puttana. Forse perché Schopenhauer talvolta le dava dei soldi? Basta questo per classificarla così? Ma via! A chiedere denari al filosofo fu invece unaltra delle sue amanti, Caroline: e lui apriva generosamente il portafogli. Con Teresa metteva da parte il suo micidiale sarcasmo e diventava dolce, sotto il cielo italiano, e dimenticava la sua disavventura con una cameriera di Dresda dalla quale ebbe una figlia (morta prematuramente). Insomma, lautore della Metafisica dellamore sessuale, al pari di Byron aveva capito bene come giravano le cose nella città lagunare. Scrisse: «Il bel sangue non si trova fra le dame o nelle classi alte, bensì sotto i fazzioli, una specie di velo bianco che le donne del popolo portano sul capo».
Ma tra le passioncelle di Schopenhauer non si può dimenticare Caroline Jagemann della cui avvenenza parlava tutta la Germania. Il filosofo che teorizzava il mondo come una valle di lacrime o come «il vero giudizio universale», perse la testa per quella donna detta «la gattina» a tal punto da sbilanciarsi: «La sposerei anche se la trovassi a spaccare pietre sulla strada». Lui aveva solo ventuno anni e le dedicò una poesia romantica nella quale accennava al suo destino come «nuvoloso». Ci fu poi nella sua vita amorosa unaltra Caroline (Wilhelmine Richter). Con lei ebbe un rapporto altalenante, durato ben dieci anni. E Schopenhauer, ossessionato dal riserbo, tenne segreta questa Caroline per tutto il tempo. Come mai parlò - lo fecero però i suoi amici - di una ballerina che abitava sul suo stesso pianerottolo, quando era a Berlino.
Quel che Verrecchia lamenta, e giustamente, è la scomparsa delle lettere damore di Schopenhauer. Davvero un peccato non conoscere le parole che destinò alle sue amanti.
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