"Nessuno si è pentito": così il villaggio ha distrutto la diga e fermato i russi

Un piccolo villaggio a nord di Kiev ha fermato l'avanzata dei russi di Putin il mese scorso, impedendo l'acquisizione della capitale e dando tempo agli ucraini di adottare le contromisure: ecco cosa è successo

"Nessuno si è pentito": così il villaggio ha distrutto la diga e fermato i russi

La storia che stiamo per raccontare mostra l'intelligenza tattica (anche senza aiuti americani), lo spirito di adattamento e sopravvivenza del popolo ucraino attaccato in mostro scriteriato dall'esercito di Putin ormai più di due mesi fa. Nel villaggio di Demydiv, una trentina di chilometri a nord della capitale Kiev, gli abitanti sono alle prese con le conseguenze di un'inondazione e allagamenti non causati dal meteo e nemmeno dallo straripamento di un fiume, lago o diga che sia. No, il pantano lo hanno creato loro per evitare che i russi avanzassero verso Kiev. Una vittora tattica in tutti i sensi.

Così hanno fermato Mosca

La vicenda campeggia in prima pagina sul NewYorkTimes. I residenti del piccolo villaggio hanno allagato intenzionalmente qualsiasi cosa nei loro dintorni, dai campi alle strade, pur di perdere interi raccolti e creare sicuramente un grave danno alle coltivazioni. Siamo in guerra, la vita è una e "le piante poi si riseminano", avranno giustamente pensato. In questo modo, come detto, hanno creato una sorta di sabbie mobili, un vero e proprio pantano in grado di contrastare assalto di carri armati russi diretti a Kiev e fatto guadagnare tempo all'esercito per preparare le difese. Gli abitanti di Demydiv hanno pagato il prezzo più alto: l'acqua è arrivata anche dentro le loro case, i disagi sono stati enormi, lavorano giorno e notte per provare a ripristinare la situazione ma non potrebbero essere più felici.

"Nessuno se n'è pentito"

"Tutti capiscono e nessuno se ne pente, nemmeno per un momento", ha affermato Antonina Kostuchenko, una pensionata, il cui soggiorno è adesso uno spazio ammuffito con la linea dell'acqua che è arrivata fino a un metro dal terreno. Non importa: "Abbiamo salvato Kiev!" ha esclamato felice. Quello che è accaduto a Demydiv non è una novità assoluta: sin dai primi giorni della guerra, l'Ucraina è stata rapida ed efficace nel devastare il proprio territorio, distruggendo spesso le infrastrutture, così da provare a sventare l'attacco dell'esercito russo che possiede (possedeva) numeri e armi superiori. Se Demydiv è stata allagata intenzionalmente con l'apertura di una diga lì vicino, in altre zone ucraine i militari hanno fatto saltare in aria ponti, bombardato strade e messo fuori uso linee ferroviarie e aeroporti, senza alcuna esitazione. L'obiettivo era rallentare l'avanzata russa, incanalare le truppe nemiche in trappole e forzare le colonne di carri armati su terreni meno favorevoli.

La politica della "terra bruciata"

Come ricorda il quotidiano americano, fino a questo momento oltre 300 ponti sono stati distrutti dall'esercito di Kiev in tutto il Paese: lo ha affermato il ministro delle Infrastrutture, Oleksandr Kubrakov. Quando i russi hanno cercato di prendere un aeroporto chiave nei pressi di Kiev nel primo giorno di invasione, le forze ucraine hanno bombardato la pista lasciandole enormi crateri e impedendo che potessero atterrare gli aerei pieni di rifornimenti dai russi. La politica della "terra bruciata" ha svolto un ruolo importantissimo nel successo dell'Ucraina nel tenere a bada le forze russe nel nord e "impedire loro di catturare Kiev, la capitale", hanno affermato alcuni esperti militari. "Gli ucraini sono chiaramente molto creativi nel cercare di rendere la vita molto difficile ai russi", ha dichiarato Rob Lee, ricercatore presso il Foreign Policy Research Institute. Un approccio usato spesso intorno a Kiev e negli ultimi giorni di combattimento sull'Ucraina orientale è stato quello di costringere i russi ad attraversare un fiume di barche attorno ai ponti distrutti: in quel modo, era più facile tendere delle imboscate con le squadre di artiglieria ucraine pronte ad aprire il fuoco contro il nemico.

I danni alle infrastrutture ucraine

Detto questo, però, c'è il rovescio della medaglia: tra bombardamenti interni e quelli operati dai russi, le infrastrutture del Paese sono ridotte ai minimi termini: il danno totale stimato fino a oggi è di 85 miliardi di dollari solo per strade, ponti e depositi vari. Non solo, ma il piccolo villaggio di Demydiv non si è ancora ripreso: allagamenti resistono in alcune aree, i cami di mais sono ormai abbandonati e per rientrare nelle case la gente cammina ancora su distese di fango. Anche in questo caso, però, ha prevalso la linea comune, la solidarietà e lo spirito di adattamento. "Cinquanta case allagate non sono una grande perdita", ha detto Volodymyr Artemchuk, un volontario che ha aiutato ad alimentare le pompe che stanno prosciugando il villaggio.

Le preziose inondazioni

Quelle inondazioni hanno costretto i russi, a marzo, a battere in ritirata. Le acque hanno creato un'efficace barriera contro i carri armati incanalando le forze d'assalto in imboscate e angusti ambienti urbani in una serie di città periferiche come Hostomel, Bucha e Irpin. L'enorme allagamento ha poi limitato anche i potenziali punti di passaggio su un affluente del Dnipro, il fiume Irpin. Alla fine, le forze russe hanno tentato, sempre senza successo, di attraversare quel fiume per una mezza dozzina di volte utilizzando un ponte di barche e guadando attraverso un'area paludosa, il tutto in luoghi sfavorevoli e sotto il fuoco dell'artiglieria ucraina. "L'alluvione", come spesso la chiamano ironicamente i locali, ha protetto Kie ma ha anche contribuito a proteggere Demydiv, che si trovava sul lato occupato dai russi dei campi allagati. Sebbene i soldati russi pattugliassero il villaggio, non è mai stato in prima linea nella battaglia.

"Ne è valsa la pena", ha esclamato Roman Bykhovchenko, 60 anni, una guardia di sicurezza, mentre asciugava le

scarpe inzuppate nel suo cortile. Altroché se ne è valsa: un piccolo villaggio ha fermato la "grande armata russa" di Putin. E di questo villaggio, sicuramente, ne leggeremo prossimamente sui libri di storia.

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