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Allarme della Cia: "Europa base di lancio per i terroristi dell'Isis"

"L'assenza di un efficace coordinamento tra le agenzie di intelligence europee, espone gli Stati Uniti". 1900 dei 7000 jihadisti occidentali sono rientrati in Europa. L'UE attacca Trump.

Allarme della Cia: "Europa base di lancio per i terroristi dell'Isis"

“L’Europa serve come trampolino di lancio per pianificare attacchi contro gli Stati Uniti a causa della mancanza di una strategia di condivisione delle informazioni tra le nazioni occidentali”. E’ quanto ha dichiarato l’ex direttore della Cia John McLaughlin, in audizione dinanzi la Commissione Forze Armate della Camera.

Secondo McLaughlin, per trent’anni nella Cia e direttore ad interim sotto l'amministrazione di George W. Bush, “l'assenza di un efficace coordinamento tra le agenzie di intelligence europee espone gli Stati Uniti ad un maggiore rischio di attacco”.

“L’amministrazione Trump dovrà lavorare con gli alleati occidentali per creare una piattaforma di condivisione di intelligence in grado di coordinare una vasta rete di servizi di sicurezza in Europa”.

Secondo il Dipartimento della Difesa statunitense, 1900 dei 7000 combattenti stranieri che hanno lasciato l’Occidente per combattere tra le fila dell’Isis, sono ritornati in Europa. Numero destinato a salire a causa dell'offensiva per riprendere Raqqa, la capitale de facto dell’Isis nel nord della Siria.

“Quel flusso di combattenti stranieri verso l’Europa potrebbe avere un effetto a cascata negli Stati Uniti, poiché i servizi di sicurezza della regione sono al limite. L'afflusso è preoccupante in quanto i titolari di un passaporto europeo sono sottoposti a controlli meno rigidi durante l'ingresso negli Stati Uniti. I terroristi in Europa con passaporti che non richiedono un particolare tipo di attenzione, rappresentano un serio problema”.

Khalid el-Bakraoui, uno degli attentatori della strage di Bruxelles dello scorso marzo, era ricercato dalle autorità francesi in relazione agli attentati di Parigi avvenuti quattro mesi prima. Khalid el-Bakraoui entrò in Belgio, dopo un viaggio in Grecia attraverso l'Italia.

Sulla stessa linea anche l'ex direttore della Cia David Petraeus in audizione al Congresso.

“L’amministrazione Trump dovrebbe attuare immediatamente delle contromisure per raddoppiare o triplicare i controlli verso coloro che intendono entrare negli Stati Uniti. Tuttavia, se il divieto di Trump dovesse essere protratto nel tempo, quello strumento potrebbe tramutarsi in catalizzatore per reclutare jihadisti”.

Il Parlamento Europeo attacca Trump

I leader dei gruppi politici hanno reagito all’ordine esecutivo del Presidente Donald Trump che vieta ai cittadini di sette Paesi di entrare in territorio statunitense. La maggior parte dei deputati ha definito le restrizioni d’ingresso come arbitrarie e in spregio dei valori fondamentali delle democrazie occidentali, come la libertà, la non discriminazione e la solidarietà. Il capo della politica estera dell'UE Federica Mogherini ha accolto con favore il chiarimento da parte delle autorità statunitensi.

“I cittadini dell'UE non saranno interessati dal divieto di ingresso, anche se in possesso della cittadinanza di uno dei sette Paesi interessati. Ciò non cambia la nostra valutazione complessiva degli ordini esecutivi. L'UE non respingerà nessuno che gode della protezione internazionale, questo è il nostro punto di vista e continueremo a difenderlo”.

Il co-presidente del gruppo ENF, Marcel De Graaff, ha invitato il Presidente del Consiglio europeo Tusk e la Commissione a “seguire l'esempio del Presidente Trump, installando controlli alle frontiere nazionali. Tenere fuori i jihadisti. Non solo dai sette Paesi indicati da Trump, ma da molti di più”.

Isis: l’organismo ciclico

Soltanto tre anni fa, i leader jihadisti annunciarono l’inizio di una nuova e gloriosa epoca nella storia del mondo con l’istituzione del califfato islamico, che all’epoca comprendeva la maggior parte della Siria orientale ed una vasta fascia dell’Iraq settentrionale ed occidentale. La nozione di califfato ha dimostrato di essere un eccellente catalizzatore per il reclutamento dei giovani insoddisfatti musulmani, in particolare nell’Europa occidentale, dove si trovano ad affrontare l’elevata disoccupazione, straniamento culturale e discriminazione. Lo Stato Islamico potrebbe presto degenerare in un califfato sulla carta, privo della sua terra e della sua leadership. Eppure, questo non è un problema perché per sua natura, il ciclico destino dello Stato islamico lo porterà a rinascere e ripresentarsi. Dallo scorso luglio, i media del gruppo dello Stato islamico, solitamente attenti nell’utilizzare toni altisonanti, sono ritornati a fare ricorso alla narrativa apocalittica. Negli ultimi messaggi pubblici, la leadership del gruppo sembra riconoscere il declino dell’organizzazione terroristica sul campo di battaglia e la possibilità che le sue roccaforti possano andare perdute. È una posizione abbastanza condivisa, presumere che gli attacchi terroristici si intensificheranno di numero mentre lo Stato islamico inizierà a perdere le sue posizioni fisiche in Siria ed Iraq. Consacrando l’aspetto ciclico ed ideale, il Califfato avrebbe gettato le basi per il prossimo stadio: una sorta di Stato idealizzato. Un califfato in pectore, ramificato con le sue cellule in almeno tre continenti. Da un lato, la perdita fisica di un territorio limiterebbe sia la capacità economica che quella di reclutamento massiccio, ma la natura fortemente decentralizzata del gruppo assicurerebbe una presenza costante nel tempo. Questa nuova fase è già in atto da tempo. Ciò è dimostrato dai nuovi termini utilizzati nei messaggi. Vi è sempre una valutazione ottimistica per la vittoria finale, come il compimento delle profezie di epoca abbaside riguardanti la fine del mondo. La vittoria non è più imminente, ma posticipata ad un giorno. Il Califfato perderà i territori in Siria, ma la battaglia finale tra l’Islam e Roma, attesa da più di 1400 anni, si svolgerà un giorno a Dabiq. Dabiq è un’ideale, la Megiddo della fede islamica, luogo della battaglia finale tra le forze del bene e quelle del male. In realtà proprio a Dabiq, l’Impero Ottomano sconfisse il Sultanato mamelucco nel 1517, crollando nel 1918 con la fine della prima guerra mondiale. Lo Stato islamico, ritornando alla narrativa apocalittica, intende suggerire che Dabiq potrebbe essere ovunque e non geograficamente localizzata. Tradotto significa che l’Isis attende ancora la resa dei conti e che la profezia non è ancora compiuta.

Invocarla, infatti, innescherebbe l’ultima parte del mito: la vittoria finale sui crociati.

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