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Un altro attacco chimico jihadista a Mosul, ma Washington minimizza

Un altro attacco chimico jihadista a Mosul, ma Washington minimizza

Ennesimo attacco con sostanze chimiche perpetrato dai jihadisti nella zona di Mosul, la scorsa notte, e questa volta a farne le spese sono venticinque militari iracheni ed un numero imprecisato di consiglieri militari provenienti da Stati Uniti e Australia, anche se fonti governative statunitensi e australiane sminuiscono l’episodio.

Si tratta del secondo attacco con armi chimiche lanciato dai jihadisti in pochi giorni, sempre nella zona di Mosul, dove sono sotto costante assedio da parte dell’esercito iracheno che si sta muovendo per liberare la città dai tagliagole.

Nella notte tra il 14 e il 15 aprile infatti missili al cloro erano stati sparati contro i militari iracheni nella zona occidentale di Mosul.

L’emittente televisiva statunitense ABC ha reso noto che il Pentagono è al corrente del fatto di stanotte, definendolo come attacco “low scale”, ovvero a bassa scala ed inefficace.

Di tutt’altro parere è invece il Cremlino, tramite il portavoce del Ministero degli Esteri, Maria Zakharova: “Siamo estremamente preoccupati per le informazioni ricevute dalla Croce Rossa Internazionale e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per quanto riguarda l’utilizzo di sostanze tossiche da parte dell’Isis nella zona di Mosul”.

E’ evidente che i sistematici attacchi chimici messi in atto dai jihadisti dell’Isis a Mosul non riscuotono la medesima attenzione mediatica dell’attacco di Idlib, di inizio aprile, quando numerosi governi e media occidentali puntarono immediatamente il dito contro Assad nonostante non vi fossero prove a supporto di tale ipotesi. Del resto nemmeno l’attacco chimico lanciato dai jihadisti ad al-Nairab, in Siria, lo scorso ottobre, trovò molta attenzione sui media.

Il Pentagono sminuisce definendo l’attacco “low scale”e “inefficace”, come se fosse il risultato a stabilire se l’attacco è di una determinata gravità o meno. Operativamente parlando può anche essere accettabile, se la classificazione è fine a sè stessa e prettamente legata al contesto di battaglia. È però indubbio che un attacco chimico è grave a prescindere dalla sua riuscita, lo è nel suo tentativo, perché se fallito significa che i jihadisti non avevano i mezzi o le capacità per fare di meglio, ma se le avessero avute?

In tutto ciò è bene ricordare un fattore che troppo spesso viene dimenticato: le forze regolari siriane di Assad, Hizbullah e l’esercito iracheno si stanno opponendo al tentativo dei jihadisti di spezzare l’asse sciita che va da Teheran a Beirut, passando per l’Iraq e la Siria.

E’ dunque fondamentale chiedersi chi ancora oggi ha forte interesse a spezzare questo asse.

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