Berlino, se gli attentati sono sempre presunti

Dopo la strage di Berlino nei tg aleggiava il fantasma inquietante della presunzione: attentato e attentatore erano solo presunti

Berlino, se gli attentati sono sempre presunti

Presunto attentato, presunta rivendicazione... Camion-killer, «non è ancora chiaro se si sia trattato di un incidente o...». Il fantasma del terrorismo, il fantasma del precedente di Nizza, il fantasma del fanatismo...

La notte tra lunedì e martedì sulle cronache della strage di Berlino nei tg, facendo zapping tra Sky e la Rai, o sulla timeline di Twitter, inseguendo #Berlino, e persino sui primi radiogiornali del mattino, aleggiava il fantasma inquietante della presunzione: attentato e attentatore erano solo presunti, con una grande voglia di credere all'incidente, o al folle. Le vittime erano reali, ma gli assassini evanescenti. Il dolore vero, ma la causa indefinibile. I cuori aperti alla compassione, gli occhi chiusi alla verità.

O anche solo a una delle «verità», peraltro una «verità» più che probabile, forse la più vicina allo stato delle cose. Eppure nessuno - giornalisti, commentatori, spettatori attaccati ai social - aveva il coraggio di dire ciò che tutti scacciavano nel retropensiero: che non fosse un incidente, ma un attentato, che non fosse un pazzo, ma un fanatico, che non fosse generico «terrorismo» - la parola terrorismo non significa nulla senza un aggettivo ma quel terrorismo che abbiamo imparato a conoscere, il terrorismo islamico.

Provocava rabbia e insieme stanchezza quel continuare a parlare, senza dire nulla. Come se nulla avessimo imparato finora. Ci tuteliamo dietro la doverosa, ma non sufficiente, presunzione di innocenza per non azzardare una verità, o anche solo prospettare una possibilità. Che non viene mai detta, oppure accennata a mezza voce, o solo evocata per mettere le mani avanti: «E adesso non diamo voce agli odiatori di professione che vogliono speculare sulle vittime...».

E così la cautela, necessaria nella professione giornalistica e consigliabile nelle chiacchiere del momento, si trasforma - lungo una notte di ambigui silenzi - in disonestà intellettuale, in conformismo, in ipocrisia. Non possiamo dire la parola «islam», non possiamo neppure distinguere tra islam buono e cattivo, se pure esiste tale distinzione.

Tutto è solo «presunto». Poi cambiamo la nostra foto su Facebook con la bandiera della Germania, prendiamo le distanze dai razzisti alla Salvini, twittiamo #PrayFor... ed è tutto a posto. Fino al prossimo, presunto, attentato.

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