Birmania, una guerra mai finita miete ancora nuove vittime

In un lembo di terra al confine con la Thailandia le sofferenze sono all'ordine del giorno. Gli attacchi contro i Karen continuano ancora oggi

Birmania, una guerra mai finita miete ancora nuove vittime

Gli esperti lo definiscono un conflitto a “bassa intensità”. Ma nello Stato Karen, un lembo di terra nella Birmania Orientale al confine con la Thailandia, la guerra più lunga al mondo continua a fare morti e causare sofferenza.

Tutto è iniziato nel lontano 1949, quando la Birmania – ribattezzata Myanmar dalla giunta militare nel 1989 – ha ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna e il nuovo Presidente del Paese, Aung San - padre del premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi – firma, in accordo con i capi delle maggiori comunità etniche che compongono il Paese, il “Trattato di Planglong”. Questo accordo offriva a ciascuna etnia la possibilità di scegliere, entro un massimo di dieci anni, il proprio destino politico e sociale. Ma dopo poco tempo, con un colpo di stato, il potere è passato alla sanguinaria dittatura militare del generale Ne Win e l’accordo non è mai stato mantenuto. Così, da sessantasei anni a questa parte, i Karen imbracciano i fucili e combattono per la libertà del proprio popolo.

Fino al 2011, anno in cui con le elezioni in Birmania si è insediato il nuovo presidente Thein Sein – un ex generale dell’esercito - gli attacchi verso la popolazione Karen erano quotidiani. I villaggi venivano dati alle fiamme, le donne stuprate e i soldati uccisi. Poi, con l’inizio dei negoziati per un cessate il fuoco intrapresi tra il governo birmano e il “Karen National Union” (Knu) – il più vecchio gruppo di resistenza etnica politica Karen, nato nel lontano 1947 – nel gennaio del 2012, sembrava esserci una speranza di pace e autonomia.

Ma così non è stato. Gli attacchi, seppur con minore intensità, continuano tutt’oggi. Dal due luglio scorso, infatti, sono in atto feroci combattimenti tra l’esercito birmano e il “Democratic Karen Buddhist Army” (Dkba), uno dei gruppi armati dei Karen che, assieme al “Karen National Liberation Army” (Knla), al “Karen National Defense Organization” (Kndo) e al “Karen National Liberation Army - Peace Council” (Knla-Pc), hanno formato il “Kawthoolei Forces Army” (Kaf). Diverse sigle che hanno lo stesso obiettivo: proteggere il popolo Karen e continuare la lotta fino alla costituzione di uno Stato indipendente.

Gli scontri di questi giorni sono iniziati quando l’esercito birmano ha attaccato diversi avamposti del Dkba per prendere sotto il proprio controllo – e ricavarne reddito dal pedaggio - tutta la nuova strada che collega la città di confine thailandese di Mae Sot con Rangoon, passando per Myawaddy. “Sono i Karen che hanno il diritto di controllare la strada nel proprio Stato, non il governo o le sue forze armate”, ha spiegato Nerdah Mya, numero uno del Kndo, figlio del generale Bo Mya, leggendario leader della lotta armata contro il regime birmano. “I combattimenti di questi giorni fanno parte di una strategia ben studiata dal governo. Parlano di pace ma vogliono controllare tutto: dalle nostre risorse naturali alle nostre strade”. Ed avverte: “Il Dkba sono nostri fratelli e se l’esercito birmano continuerà gli attacchi, anche i miei uomini entreranno in azione”.

I combattimenti non si fermano neanche in altre zone del Paese. Nel nord-est della Birmania, al confine con la Cina, si registrano scontri a fuoco tra il Tatmadaw – l’esercito birmano - e il “Kachin Independence Army” (Kia). Anche qui le motivazioni sono economiche. Il conflitto, infatti, è rincominciato nel 2011 dopo ben diciassette anni di “cessate il fuoco” proprio quando i leader Kachin si sono rifiutati di abbandonare una postazione considerata strategica, vicino a dove deve essere realizzata la diga Myitsone, sul fiume Irrawaddy. Un progetto - attualmente sospeso - promosso in partnership tra il governo birmano e quello cinese. Altri combattimenti sono in atto anche nello Stato Shan e nel piccolo Stato Kokang.

Intanto, mentre le martoriate etnie vengono attaccate dai soldati birmani, i governi occidentali - che

hanno cancellato quasi tutte le sanzioni economiche al Paese asiatico - e molte grandi multinazionali, stanno facendo a gara per accaparrarsi affari milionari. Ma il business, si sa, va avanti anche se è sporco di sangue.

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