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I mercati bagnati non chiudono. ​Cosa succede davvero in Cina

Nei mercati di animali sparsi per la Cina, vere e proprie bombe epidemiologiche, si continuerebbe a fare affari in barba a qualsiasi regola sanitaria

I mercati bagnati non chiudono. ​Cosa succede davvero in Cina

In Cina, malgrado la pandemia e la sempre più forte necessità di osservare strette precauzioni igieniche per prevenire i contagi, sembra non sia cambiato nulla per quanto riguarda i mercati di animali. I famigerati “wet market”, considerati inizialmente dalla scienza come il principale focolaio del Covid e consistenti in bancarelle dove si vende, in condizioni sanitarie deludenti, ogni sorta di specie animale con annesse macellerie improvvisate a cielo aperto, continuerebbero infatti a svolgersi nel Paese-epicentro del morbo. A documentare il fatto che, a mesi di distanza dalla proclamazione dell’allarme pandemico, i mercati di animali sarebbero lì ancora aperti nelle stesse condizioni ante-Covid è stata l’organizzazione Animal Equality Italia.

L’ong ha infatti ultimamente diffuso delle immagini, realizzate in diverse località del gigante asiatico, che testimoniano come i wet market continuino a essere in piena attività, con conseguente rischio persistente che clienti e commercianti contraggano malattie infettive e con continue sevizie inflitte alle bestie in vendita sulle bancarelle incriminate. Mediante la pubblicazione dei video citati, risalenti a maggio, ossia a mesi di distanza dalla dichiarazione della pandemia proclamata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, Animal Equality Italia ha quindi lanciato l’allarme sul fatto che in Cina sia cambiato poco o nulla sul fronte del contrasto a tali mercati, vere e proprie bombe epidemiologiche. Nel dettaglio, a realizzare i video è stato un team di investigatori della organizzazione citata, incaricato di monitorare proprio la situazione dei mercati umidi al di qua della Grande muraglia e di capire se, con l’allarme-coronavirus in vigore, ci fosse stato o meno un cambiamento in tali inquietanti contesti commerciali.

Contemporaneamente alla pubblicazione delle riprese, l’ong ha messo a punto un comunicato in cui, oltre a reclamare la chiusura immediata dei wet market da parte delle autorità cinesi, fornisce importanti dettagli su quanto constatato nel gigante asiatico dal proprio personale circa l’abituale svolgimento dei famigerati mercati di animali: “Con l'aiuto di coraggiosi attivisti locali, abbiamo raccolto immagini esclusive nel luogo in cui si ritiene che tutto abbia avuto inizio: la Cina. Appena sono arrivati nei mercati, i nostri investigatori hanno visto animali vivi e morti trasportati con veicoli che li esponevano a sporcizia e smog senza alcuna supervisione. In quei luoghi, vengono venduti e uccisi tartarughe, rane, anatre, oche, piccioni e pesci, riunendo specie animali che, nella vita naturale, non coesisterebbero mai, aumentando così, il rischio di trasmissione di malattie tra uomo e animale”.

Stando a quanto denunciato dall’ong, i wet market cinesi starebbero continuando a fare affari in barba alle restrizioni prudenziali anti-Covid, macellando inoltre gli animali senza minimamente stordirli e infliggendo quindi agli stessi atroci sofferenze.

Il comunicato prosegue tuonando: “Il materiale che siamo riusciti a riprendere tornando in Cina, rivela che la minaccia per la salute e la sicurezza pubblica continua. Avevamo un obbligo nei confronti del mezzo milione di persone che hanno firmato la nostra petizione che chiede la chiusura di questi luoghi in cui animali e uomini convivono creando l'ambiente perfetto per la proliferazione dei virus”.

In realtà, le inchieste di Animal Equality Italia sui mercati di animali organizzati in Asia risalgono a molto prima della comparsa del coronavirus e hanno in precedenza interessato anche altre nazioni, non solo la Cina.

Tra il 2014 e il 2019, infatti,, ha precisato la medesima organizzazione, immagini altrettanto scioccanti sono state registrate da attivisti della stessa in wet market ubicati in Vietnam e in India, a testimonianza della negligenza e della crudeltà che caratterizzano determinati angoli di Oriente.

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