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Coronavirus, appello degli accademici cinesi: Pechino chieda scusa

Una lettera aperta scritta da alcuni accademici cinesi e diffusa sul web invita il governo a chiedere scusa per aver silenziato l'allarme del dottor Li Wenliang

Coronavirus, appello degli accademici cinesi: Pechino chieda scusa

Una lettera aperta scritta da alcuni accademici cinesi e diffusa sul web invita Pechino a chiedere pubbliche scuse per aver silenziato l'allarme sul coronavirus lanciato dal dottor Li Wenliang.

Nella missiva, spiega Asianews, ci sono richieste specifiche indirizzate genericamente al governo cinese. Innanzitutto i firmatari domandano di celebrare la "Giornata della libertà di parola" il prossimo 6 febbraio, giorno della morte del signor Li, stroncato dal Covid-19. Successivamente gli accademici esigono il mea culpa del governo guidato da Xi Jinping e invocano il rispetto della Costituzione cinese, documento che difende la libertà di parola.

A proposito della libertà di parola, un'altra richiesta è la rimozione di tutte quelle leggi che frenano tale libertà; la data di morte di Li, inoltre, deve trasformarsi nella giornata in cui celebrare la "libertà di parola" e deve essere al tempo stesso un'occasione per ricordare un "martire" della verità.

Le richieste degli accademici

Uno dei firmatari della lettera è il professor Tang Yiming, a capo della Facoltà dei classici cinesi presso l'Università normale di Wuhan, la megalopoli epicentro dell'epidemia di coronavirus. Tra i passaggi più emblematici del testo troviamo quello in cui si definisce la crisi sanitaria attualmente in corso una sciagura causata dall'essere umano: “Se le parole del dott. Li non fossero state trattate come dicerie, se ad ogni cittadino fosse garantito il diritto a dire la verità, non saremmo in questo disastro, non avremmo una catastrofe nazionale con contraccolpi internazionali. L’epidemia di coronavirus non è un disastro naturale, ma un disastro operato dall’uomo. Dovremmo imparare dalla morte di Li Wenliang”.

Zhang Qianfan è un professore di diritto alla Beijing University ed è un altro dei firmatari. Ha detto che la morte del dottor Li “non deve spaventarci, ma incoraggiarci a parlare chiaro… Se sempre più persone rimangono in silenzio per paura, la morte verrà ancora più presto. Tutti dovremmo dire no alla repressione della libertà di parola da parte del regime”.

La morte di Li Wenliang ha commosso tanto il popolo cinese quanto il mondo intero. Se i social permettono di misurare la temperatura di un Paese, quella della Cina scotta. L'hashtag: “È morto il dott. Li Wenliang” ha ricevuto 670 milioni di visitatori mentre “Li Wenliang è morto” 230 milioni e “Voglio la libertà di parola” 2,68 milioni. La polizia ha rimosso questi messaggi ma i vari post erano già diventati virali.

Nel frattempo i media statali, come ad esempio il Quotidiano del Popolo, non hanno speso neppure una riga sul fatto che Li sia stato minacciato dalle autorità quando lo scorso dicembre aveva condiviso le sue preoccupazioni per lo scoppio di una possibile epidemia molto simile alla Sars.

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