Coronavirus

Coronavirus, Burioni: ''Spero che la Cina non bari sui dati''

Per il virologo Roberto Burioni il calo del numero di contagiati dal coronavirus potrebbe derivare da una nuova direttiva impartita dalle autorità cinesi su come conteggiare i casi

Coronavirus, Burioni: ''Spero che la Cina non bari sui dati''

L’epidemia di coronavirus continua a mietere vittime. L’ultimo bilancio indica che ad oggi sono morte 1018 persone, quasi tutte in Cina, e altre 43126 risultano contagiate. Ma questi dati sono reali? Le voci di chi ipotizza che Pechino non stia dicendo la verità si stanno moltiplicando. Tra queste vi è quella di Roberto Burioni, noto virologo italiano, che crede come le cifre dell’epidemia possano essere più alte.

"Probabilmente la Cina bara sui dati che fornisce al mondo", ha spiegato Burioni su 'Medical Facts'. "Nei giorni scorsi autorevoli- ha continuato- colleghi come Pier Luigi Lopalco, hanno detto che dalla Cina arrivavano piccoli segnali che inducono a un flebilissimo ottimismo: il numero dei casi di coronavirus sembrava salire con meno intensità negli ultimi giorni”. Ma questa buona notizia potrebbe basarsi non sull’effettivo calo dei casi registrati dopo test medici quanto da un altro fattore per nulla rassicurante.

Secondo il virologo italiano esiste la possibilità che questo la diminuzione del numero di persone morte e contagiate ''derivi da una sconcertante decisione della Cina: considerare casi confermati solo quelli che risultano positivi al test e hanno sintomi. In altre parole, chi ha il test positivo, ma non ha sintomi, non rientra nel conto''. Burioni ha ammesso di non poter essere certo se ciò corrisponde a realtà anche ''perché non conosco il cinese, ma la direttiva sarebbe stata emessa il 7 febbraio, come si può leggere in questo tweet'', ha scritto il virologo facendo riferimento ad un tweet del reporter Alex Lam.

"Parliamoci chiaro- ha affermato Burioni- contare i casi in questo modo ha un nome ben preciso: barare. Spero che non sia vero - ha aggiunto - e spero che nel malaugurato caso fosse vero l'Organizzazione Mondiale della Sanità non consenta questo comportamento". Burioni e il collega Nicasio Mancini hanno analizzato i dati disponibili forniti dalla Cina: "In sintesi, sembra che nel resto della Cina si muoia molto meno per l'infezione rispetto allo Hubei. Alle 19 di lunedì 10 febbraio in Cina erano stati registrati 40.196 casi d'infezione da nuovo coronavirus con un totale di 909 morti. È dal rapporto di questi due dati che deriva il valore di mortalità, anche se sarebbe più corretto parlare di tasso di letalità, compreso fra il 2% e il 3%".

Questo tasso più precisamente è al 2,26% se si tengono conto delle informazioni ufficiali fornite da Pechino. Ma il risultato è solo una stima e, pertanto, potrebbe essere più basso, in quanto non abbiamo idea del reale numero degli infetti, “ma potrebbe anche essere destinato a crescere, come ipotizza uno dei possibili scenari disegnati dagli epidemiologi dell'Imperial College of London nel loro ultimo report".

In Hubei, la provincia epicentro dell’epidemia, sono stati registrati 29.631 casi e 871 morti. Se si calcola la mortalità solo in questo territorio si ottiene un valore del 2,94%. Nelle altre province cinesi, invece, ci sono un totale di 10.565 casi e 38 morti. Da questo si ottiene un valore di mortalità, o meglio di letalità, molto più basso, pari allo 0,36%.

Il perché di questa enorme differenza lo spiegano Burioni e Mancini sottolineando che esisterebbero diversi ipotesi non perfettamente “distinguibili alla luce delle evidenze finora disponibili. Una possibilità è legata al fatto che nello Hubei, come detto sopra, i casi siano molti di più e, quindi, la letalità molto più bassa. Cosa possibile, ma che, in ogni caso, vale anche per il resto della Cina". Altra possibilità è che lo Hubei abbia risentito della prima ondata di contagi quando vi era una minore preparazione da parte delle autorità. Ciò, di conseguenza, ha fatto salire il numero dei morti. Questa è un'interpretazione possibile ma che, affermano ancora Burioni e Mancini, ''col passare dei giorni sembra impattare sempre meno sull’analisi che proponiamo''. Infine, vi è una terza possibile interpretazione del dato. Si ipotizza che il virus stia pian piano adattandosi all'uomo, diventando così meno pericoloso. ''Non abbiamo ancora dati molecolari che lo confermano, ma chi conosce un po’ di virologia non può non considerare anche quest'ipotesi.

Vedremo nei prossimi giorni", hanno concluso gli esperti.

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