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Finita la partita i calciatori si rifugiano in caserma e chiedono l'asilo politico

Al termine del match tra Botsowana ed Eritrea, valido per le qualificazioni ai mondiali, i giocatori della nazionale di Asmara non sono rientrati in patria ma hanno chiesto asilo politico al paese ospitante

Finita la partita i calciatori si rifugiano in caserma e chiedono l'asilo politico

Dieci giocatori della nazionale eritrea di calcio, mercoledì in Botsowana, hanno giocato la sfida valida per le qualificazioni ai mondiali del 2018. Nello stadio di Francis Town a vincere però sono stati i padroni di casa, ma il risultato per 3 a 1 a favore della squadra dell'Africa australe non è stata la notizia della giornata, perchè al di là dell'agonismo sportivo e dei numeri sui tabelloni, quello che ha impressionato è ciò che è successo al termine dei 90 minuti. Conclusosi l'incontro i giocatori della squadra eritrea infatti non sono saliti sul pullman che doveva riportarli al loro albergo e poi da lì in patria, ma sono corsi alla stazione di polizia, nei pressi dello stadio, e una volta lì hanno fatto richiesta d'asilo politico.

Un episodio che non è nuovo. Anche negli anni precedenti i giocatori di Asmara, durante le trasferte in Kenya e in Uganda, avevano provato a chiedere aiuto ai paesi ospitanti, e quest'ultimo tentativo è la riprova di come il regime di Afewerki colpisca tutti gli aspetti della vita del Paese: dalla politica, alle libertà individuali al mondo sportivo. I ragazzi della nazionale calcistica nel caso dovessero venire rimpatriati rischierebbero la galera e le torture, e il fatto che il loro gesto possa avere conseguenze sui loro parenti rimane comunque molto concreto. Il pallone diviene quindi un ambasciatore rotolante delle vessazioni e degli abusi commessi da una dittatura che ha eguali solo in Corea del Nord. Non è la prima volta che la meglio gioventù africana lancia il proprio grido di battaglia dai campi di calcio. Immediato è l'accostamento con la partita Zaire contro Brasile andata in scena ai Mondiali di Germania '74. I verdeoro vincevano 3 a 0. A pochi minuti dalla fine il carioca Rivelino, dal destro micidiale, si apprestava a battere una punizione. Tergiversava sulla palla e allora dalla barriera Joseph Mwepu si staccò, e dopo un breve corsa fu lui a calciare il pallone più lontano possibile dalla propria area e soprattutto dagli incubi di una nazionale che se avesse perso con più di 3 goal di scarto avrebbe avuto le ore contate. In quell'occasione a diramare l'ultimatum era stato il dittatore Mobutu, ma la fine del regime del maresciallo congolese sarebbe arrivata vent'anni più tardi.

Oggi quindi la speranza è che invece il grido della nazionale eritrea abbia un eco maggiore e non rimanga un semplice singulto di cronaca sportiva da inserire negli annali di calcio tra qualche decennio.

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