Partiva da un libro del 2014 il lavoro di Giulio Regeni al Cairo. Prendeva spunto dall'Egypt's Long Revolution di Maha Abdelrahman, in cui la docente che gli faceva da supervisor alla università di Cambridge raccontava del periodo post-rivoluzionario dell'Egitto, dai giorni di piazza Tahrir all'avvento del nuovo regime militare.
La ricerca di dottorato dell'italiano, torturato e ucciso, prendeva spunto da qui, con la prospettiva - scrive Repubblica - di ampliare quel lavoro e forse anche contribuire a un aggiornamento di quel volume, in cui si parlava anche della "narrazione mainstream" dei giorni di piazza Tahrir, "raccontati come una pacifica protesta condotta dalla classe media", senza tener conto del "ruolo svolto da larghe fette della popolazione egiziana: lavoratori, agricoltori, proletariato urbano".
Un volume che denunciava anche le pratiche del regime, condannando soprattutto l'utilizzo della tortura come metodo d'interrogatorio da utilizzare regolarmente. "Le prigioni egiziane erano e sono tutt'oggi piene di detenuti che, sotto l'insostenibile peso della tortura, hanno confessato crimini che probabilmente non hanno mai commesso", scriveva la Abdelrahman.
"Per sostenere il fabbisogno di
un sistema del terrore in piena espansione, il Ministero dell'Interno egiziano ha cominciato a dare in outsourcing il lavoro sporco", scriveva, durissima, la supervisor del ricercatore italiano, che la tortura ha ucciso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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