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I servizi segreti sotto accusa: così gli è sfuggito il boia dell'Isis

Perché gli agenti del Mi5 erano in contatto con un sospetto terrorista? E, soprattutto, perché non lo hanno fermato? Sostieni il reportage

I servizi segreti sotto accusa:  così gli è sfuggito il boia dell'Isis

Fino a ieri era soltanto una maschera nera dietro le decapitazioni di tutti gli ostaggi occidentali. Oggi è il boia più ricercato al mondo. Jihadi John, il leader del gruppo di assassini che in Siria si fanno chiamare i Beatles, ha un nome e una storia, simile a quella di tanti altri "terroristi della porta accanto" che i radar dell’intelligence britannica e internazionale non sono riusciti a fermare prima che potessero compiere i loro atti di violenza. Tanto che ora, alla sede dell'Mi5 di Londra, rischiano di daltare diverse poltrone. Il giorno dopo la rivelazione che Jihadi John è Mohammed Emwazi, un londinese di 27 anni già noto alle forze di sicurezza, si alzano voci critiche contro l'operato degli agenti che, pur avendo avvicinato il jihadista più volte per convincerlo a collaborare, se lo sono lasciato scappare sotto il naso.

Mohamed Emwazi nasce in Kuwait nel 1988 e a sei anni si trasferisce a Londra. Famiglia agiata della media borghesia, cresce con un fratello e due sorelle in un tranquillo quartiere nell’ovest della capitale e si laurea in informatica all’università di Westminster. Fin qui la storia di un ragazzo musulmano come tanti, che ogni tanto frequentava la moschea di Greenwich e conduceva una vita tranquilla in una tipica casa di mattoni rossi, dove oggi non si è visto entrare nè uscire nessuno. "Una famiglia per bene - dicono i vicini - ma che si teneva in disparte". È nel 2009, dopo la laurea, che comincia a cambiare qualcosa. Emwazi organizza un viaggio in Tanzania con due amici, un tedesco convertito all'islam di nome Omar e un certo Abu Talib, ma appena arrivati all’aeroporto di Dar es Salaam vengono arrestati e rispediti in Gran Bretagna.

Sulla via del ritorno, ad Amsterdam, Emwazi viene fermato per la prima volta dai servizi segreti britannici che stanno indagando sul gruppo terroristico somalo al Shabaab. Gli agenti del Mi5 lo accusano di volersi unire agli affiliati di Al Qaida ma lo rilasciano. Da allora, gli 007 cercano di reclutarlo come informatore. Un anno dopo, nel 2010, Emwazi torna in Kuwait per cercare un lavoro come informatico ma al suo ritorno a Londra viene arrestato di nuovo dalla polizia anti-terrorismo britannica che lo inserisce nella sua lista nera e gli leva il passaporto. Nel 2013 prova di nuovo a partire per il Kuwait, poi di lui si perdono le tracce. La famiglia ne dichiara la scomparsa e quattro mesi dopo la polizia comunica ai parenti che si trova in Siria. Passa solo un anno e Mohamed diventa "Jihadi John", il boia sanguinario che nell’agosto del 2014 spezza la vita di Steven Sotloff. E poi di David Haines, Alan Henning, Peter Kassig, Haruna Yukawa e Kenji Goto.

La commissione parlamentare per la sicurezza britannica ha subito aperto un'inchiesta. Perché gli agenti del Mi5 erano in contatto con un sospetto terrorista? E, soprattutto, perché non lo hanno fermato? Secondo il Times, i servizi segreti hanno cercato di trasformarlo in un informatore almeno una dozzina di volte. Eppure, nonostante fosse contrallato dagli 007 e inserito nella watch list, Emwazi è riuscito a lasciare l'Inghilterra e a unirsi allo Stato islamico in Siria. Qualcosa dev'essere andato storto. Anche se il premier David Cameron non vuole ammetterlo. Alle polemiche che lo hanno investito, ha risposto definendo gli agenti "straordinari, determinati e coraggiosi".

Ma qualcosa continua a non tornare.

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