Tra i talebani in Afghanistan

Il generale Mauro D'Ubaldi, comandante del contingente italiano in Afghanistan, ci spiega le finalità e il perché della missione "Resolute Support"

Tra i talebani in Afghanistan

Quante sono le truppe italiane schierate in Afghanistan? E quali? Perché proprio queste?

In Afghanistan sono attualmente schierati circa 800 militari italiani. Esiste un piccolo contingente a Kabul (circa 50 unità), impiegato presso il Comando della Missione Resolute Support, mentre il resto costituisce la colonna portante de Train Advise and Assist Command WEST (TAAC-W), nella sede di Herat. Il Contingente poggia sulla Brigata di fanteria meccanizzata "Aosta", di Messina, con innesti provenienti da Marina, Aeronautica e Carabinieri. E’ inclusa una componente dell’Aviazione dell’Esercito con 8 elicotteri ed un Ospedale militare nell’ambito del quale, operano anche alcuni volontari della Croce Rossa Italiana. Nell’ambito della continua pianificazione operativa delle Forze Armate italiane, queste Unità erano quelle al più alto livello di specifica preparazione per assolvere a questo tipo di missione.

I talebani sono ancora un pericolo?

Si, in alcune aree, i talebani sono ancora un pericolo per questo Paese. Nonostante i molti anni di conflitto, continuano ad avere una vitalità ed un’efficacia nelle loro azioni che rallenta il ritorno di condizioni di vita normali in alcune zone del Paese. Gli effetti del consolidamento statale e delle loro conseguenti difficoltà però, cominciano ad essere sempre più palesi. Il tentativo di mantenere nascosta la scomparsa del Mullah Omar, la faglia interna - sempre più cruenta - tra Mansour e Rasoul, gli attuali contendenti, sono lo specchio di una situazione che, auspicabilmente, conferisce sempre maggior vantaggio alle forze governative. Ciò è oggi ancora più evidente proprio nella regione degli italiani, l’unica probabilmente dove da tempo si registra un controllo stabile delle autorità governative.

Esiste il rischio che i talebani si uniscano ai miliziani dell’Isis?

E’ un rischio da non sottovalutare. Daesh è al momento una fenomenologia che in Afghanistan ha poco a che vedere con gli aspetti ideologici o religiosi (che pure presentano affinità di vedute con l’insorgenza locale). E’ piuttosto un franchising cui elementi delusi, fuoriusciti o espulsi dal movimento talebano e oramai troppo compromessi per cercare una riabilitazione, possono rivolgersi per mantenere finanziamenti, ruoli di influenza ed alimentare la loro piccola egemonia locale. E’ chiaro però che in un panorama dove l’insorgenza ha molte facce (basti pensare all’ancora poco chiara visione sulle intenzioni future dei talebani del nord, senza contare i foreign fighters possibilmente provenienti dai Turkmenistan, Tajikistan o dalla Cecenia), va posta molta attenzione al giudizio sull’effettivo consolidamento dei progressi. Sia chiaro: ritengo che la Comunità Internazionale non ha deciso di rimanere nel Paese perché’ “stiamo perdendo”. Lo ha fatto proprio perché “stiamo vincendo”, ma i progressi compiuti dalle Forze di Sicurezza e Difesa Afghane devono ancora essere accompagnati dal nostro sostegno.

Come sono visti, dopo dieci anni di presenza sul suolo afghano, i soldati italiani?

Rischia di apparire come uno stereotipo, ma la realtà è proprio quella cui spesso viene fatto riferimento. Sono visti come un partner che a differenza di moltissimi altri è giunto senza agende nel cassetto ed ha svolto un ruolo che molti definiscono unico. Per una serie di motivazioni anche culturali, hanno infatti esercitato nelle loro aree di responsabilità un’influenza tutta particolare. I nostri dieci anni nella regione ovest coincidono col fatto che quest’area sia la più pacifica del Paese, quella con un altissimo tasso di scolarizzazione e dove, evento impensabile solo pochi anni orsono, il 40% della popolazione universitaria (la seconda nel Paese) è rappresentato da donne. Qualche giorno fa, S.E.

Naheed Farid, la più giovane parlamentare afghana, mi raccontava come quattordici anni fa fosse una ragazzina di Herat, cui era oramai del tutto proibito uscire da casa. Figuriamoci andare a scuola. Oggi rappresenta questa importante circoscrizione in Parlamento. Per questo, lei ringrazia la presenza italiana. E anche io.

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