Dopo che la la forza del destino ha obbligato Obama,il presidente dei ritiri unilaterali e del discorso del Cairo a dichiarare guerra all'Isis si capisce che passare dalle parole ai fatti, non sarà facile. Arrivano le critiche dei migliori amici delusi, come il New York Times , si precisa lo scenario che secondo nuovi dati della Cia ci informa che i militanti impegnati in battaglia non sono, come si pensava 10mila, ma fra i 20mila e i 31mila500. I video delle decapitazioni, le dichiarazioni di entusiasmo con accento inglese o italiano per la proclamazione dello Stato Islamico hanno dato i loro risultati. La jihad è «fashionable» fra i giovani islamici. Già il numero dei nuovi soldati sul campo, detti «consiglieri» da 1600 a 2075, appare esiguo, e impossibile la promessa di non consentire «stivali sul terreno».
Intanto la coalizione si definisce, da Jedda un comunicato annuncia la firma per «l'azione militare» del Golfo (ottime basi militari), dell'Egitto, dell'Iraq, della Giordania, del Libano. I sauditi garantiscono il fronte sunnita. Hollande ha visitato il nuovo presidente iracheno con doni e promesse, l'Europa sente sempre il richiamo Usa. Ma se la strategia del capo ha delle falle, questo può rovinare il risultato, e qui le falle ci sono: Obama non ha pronunciato la parola Jihad, e ha affermato che «l'Isis non è islamico». Per Obama è la disumanità a rendere impossibile che questo gruppo di belve appartenga a una religione. L'ipotesi è insostenibile, anche se certo l'Isis non rappresenta tutto l'Islam. Negando l'evidenza, Obama taglia le ali ideologiche alla parte moderata: se l'altro «non è Islam», non è chiamata a combattere, a uscire allo scoperto. Inoltre, se non si individua la jihad come motore dell'aggressività, si avvantaggia la parte jihadista sciita ovvero l'Iran, gli Hezbollah, e soprattutto il loro pupillo Assad. E non c'è niente da fare, Assad gongola, e con lui Khamenei. Il viceministro degli Esteri di Assad dichiara che la Siria non ha niente in contrario all'attacco. E ci crediamo. Terzo problema: l'organizzazione Isis, Jabat al Nusra, Al Qaeda ha sede nel mondo non in Irak e in Siria soltanto. Essa è una vera infezione in tutto il mondo islamico globalizzato. Un marocchino convertito, studioso di Islam, che si fa chiamare Brother Rashid spiega con semplicità che a Londra come a Parigi, mentre nessun cristiano o ebreo ha mai scelto la lotta violenta, giovani di seconda generazione abbracciano intera l'interpretazione più aderente ai testi, alle Sura, ai Hadith: tutto, dal tagliarsi i baffi e non la barba, agli abiti, al rapire le donne e impalmarle, a eliminare il miscredente, è una scelta filologica che vuole restaurare il tempo di Maometto: il mondo tornerà al califfato, alla shariah pura, alla jihad permanente, all'eliminazione o al dominio degli infedeli. Alla grande avventura si sentono chiamati giovani di tutto il mondo contro un universo, il nostro, che ai loro occhi perseguita l'Islam. Anche la crudeltà estrema e la disponibilità alla morte sono parte di un bagaglio religioso, certo non condiviso da tutti. È l'interpretazione più arcaica, ma è larghissimamente diffusa. Sono migliaia i ragazzi che nei nosti Paesi cercano la grande avventura e si sentono perseguitati dalla nostra civiltà: vengono dall'Inghilterra, dalla Francia, dall'Italia, moltissimi dai Balcani, le strutture sono moschee, madrasse, centri culturali e di ricreazione, network sociali che insegnano i testi, la jihad. L'India, la Malesia, Singapore, le Maldive,le Filippine ingrossano le fila della jihad.
Spesso i centri di reclutamento sono finanziati con denaro di stati islamici, e organizzano il passaggio per la Turchia da cui si va in Siria, e più avanti rimpatrieranno i terroristi. Certo, non si può spedire un drone contro nessuna moschea europea, ma questa battaglia non si fa solo in Iraq e in Siria, ma a casa nostra e nel mondo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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