"L'islam radicale ora non si fermerà"

IlGiornale.it ha intervistato in esclusiva la professoressa Firouzeh Nahavandi dell’Università Ulb di Bruxelles, esperta di mondo islamico e radicalismo

"L'islam radicale ora non si fermerà"

Bruxelles – “La situazione attuale, purtroppo, non è una sorpresa. Il terrorismo jihadista non si fermerà adesso”. A parlare in esclusiva a IlGiornale.it è Firouzeh Nahavandi, professoressa dell’Università Ulb della capitale belga. Iraniana, da quarant’anni vive a Bruxelles ed è un’esperta di mondo islamico e radicalismo. “C’erano molteplici segnali che indicavano la radicalizzazione della società”. Ad esempio, spiega, “nei mercati della domenica mattina si trovano tranquillamente pubblicazioni radicali e il numero di persone, soprattutto giovani, che acquistano e leggono questi volumi è notevolmente aumentato”. E poi basta guardarsi in giro, a Molenbeek e in tutta Bruxelles, “ci sono molte ragazze che hanno iniziato a coprirsi il volto o che hanno iniziato a non stringere la mano e a non parlare con gli uomini”. Altre persone che “prima mangiavano maiale e bevevano alcool, ora hanno smesso di farlo. I ragazzi hanno iniziato a far crescere la barba”. Tutti questi segnali non erano stati totalmente trascurati. “I servizi segreti - chiarisce l’esperta - si erano resi conto di quello che stava succedendo, ma nel passaggio relazionale tra l’intelligence e la politica lo spazio è molto vasto”. Molto probabilmente, aggiunge, “ci sono anche degli interessi nel mondo politico che non hanno permesso che questi segnali venissero presi in considerazione seriamente”. La radicalizzazione comincia nel momento in cui una persona inizia ad interessarsi alla vita politica. Inizia ad interessarsi a cosa succede in Medio Oriente e in particolar modo in Siria e si vuole attivare in prima persona. Ma il punto è che per queste persone, “non esiste solo la Siria, ma esiste anche un Occidente colpevole che considerano il male assoluto e per questo lo attaccano”. Secondo la professoressa “non è in atto una radicalizzazione dell’Islam, ma è in atto una islamizzazione del fenomeno del radicalismo”.

I jihadisti sono per circa il 50 per cento persone che si sono convertite e generalmente “non hanno una grossa conoscenza dell’Islam e non seguono la dottrina islamica”. Sono delle persone che hanno questi comportamenti per “delle questioni di fondo che li portano a radicalizzarsi e al tempo stesso utilizzano l’Islam come strumento di giustificazione per i loro atti”. I problemi sociali non sono l’unica origine della radicalizzazione, “ci sono anche altri problemi come ad esempio quelli personali e psicologici della persona”. E questo, i reclutatori dello Stato Islamico, lo sanno bene. E’ chiaro che “i jihadisti non vengono da me per farmi unire a gruppi estremisti. Vanno da persone con caratteristiche specifiche. E le modalità in cui queste persone vengono avvicinate ed entrano in questi gruppi terroristici è molto simile a quella che avviene all’ingresso in una setta, dove vengono offerte delle risposte immediate”. La fase di reclutamento avviene prevalentemente on-line. Alcune persone si interessano e contattano i reclutatori. Ma “generalmente è il contrario e vengono utilizzati diversi mezzi per dare informazioni e risposte”. Una piccola parte viene arruolata anche per strada, ma non nella moschea. “Più probabilmente avviene anche grazie alle tante associazioni parallele e alle relazioni sociali e parentali, come ad esempio attraverso un amico o un parente che è già partito per combattere”. Discorso differente per le donne. “Le organizzazioni jihadiste organizzano matrimoni per dare una moglie ai combattenti”. Oggi, a differenza del passato, è molto più facile ottenere un perfetto jihadista. “Basta solo un mese per prendere una persona con determinate abitudini e trasformarla”. Non si sa bene il perché. Molto probabilmente “queste persone non si sentono accolte in questa società o non si sentono parte di nessuna società”. Secondo l’esperta di mondo islamico, “dietro c'è sempre una storia di fallimento”. Questo fallimento “può essere scolastico o professionale. Tutto può portare alle vulnerabilità che permette ai reclutatori di trasformare una persona normale in un jihadista”. Si pensa che fino ad ora siano state 500 le persone partite per unirsi allo Stato Islamico dal Belgio. E altre 500 quelle che vorrebbero partire. Sono numeri ipotetici, ovviamente. Non si può sapere con certezza. “Le persone che si radicalizzano, che prendono l’Islam e se lo mettono addosso per strumentalizzarlo, ad ora vanno nei territori dello Stato Islamico perché non hanno altra scelta. E’ questo che offre il mercato”.

Ma se per ipotesi “ci fosse un attacco internazionale per distruggere lo Stato Islamico, queste persone cercherebbero un’altra via”. Questa via, secondo la professoressa che ha dedicato una vita allo studio dell’Islam radicale, “potrebbe essere qualsiasi posto, anche l’Europa”.

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