In Messico, nel pieno dell’epidemia di coronavirus, i cartelli della droga si stanno letteralmente sostituendo alle autorità governative nell’imporre e garantire l’osservanza delle restrizioni anti-contagio, nonché nell’aiuto alle famiglie rovinate sul piano economico dall’emergenza sanitaria. In particolare, tra i criminali più attivi nel mantenimento dell’ordine e dei confinamenti anti-Covid stanno emergendo “Los Chapitos”, ossia i figli di Joaquín “El Chapo” Archivaldo Guzmán Loera, l’ex capo del Cartello di Sinaloa attualmente detenuto in un carcere americano di massima sicurezza a scontare una condanna all’ergastolo, inflittagli l’anno scorso negli Usa per narcotraffico. Il fatto che il padrino incarcerato continui a esercitare la propria influenza nella nazione ispanica per mezzo dei suoi due eredi, Iván Archivaldo Guzmán e Jesús Alfredo Guzmán, è stato favorito appunto dalla balbettante risposta delle autorità messicane all’avanzare del morbo.
Prima che esplodesse l’emergenza-coronavirus, ricorda La Stampa, il Cartello di Sinaloa, orfano di “El Chapo”, era infatti impegnato a combattere una logorante guerra con varie famiglie malavitose intenzionate a scalzarlo dalla sua posizione di preminenza nel mondo del narcotraffico.
Tra gli avversari maggiormente agguerriti a cui gli eredi di Guzmán dovevano finora tenere testa figuravano in primo luogo gli esponenti della gang Jalisco Nueva Generación.
Con l’arrivo in Messico dell’infezione, tuttavia, i clan mafiosi locali hanno subito provveduto a sospendere le faide per approfittare del vuoto di potere causato dall’incerta reazione delle autorità nazionali all’epidemia.
Il presidente federale Lopez Obrador, denuncia la testata torinese, ha infatti adottato una linea molto prudente riguardo alla gestione dell’emergenza sanitaria, limitandosi ad annunciare alla popolazione “misure facoltative” per il contenimento dei contagi.
A fronte della strategia morbida varata dal capo dello Stato, i cartelli della droga si sono arrogati il diritto di imporre alla cittadinanza misure draconiane in nome della lotta all’infezione.
Il Cartello di Sinaloa, guidato oggi dal luogotenente di “El Chapo” Ismael “El Mayo” García e da “Los Chapitos”, la fa da padrone nell’attuazione delle restrizioni anti-contagio e del distanziamento sociale, presentandosi di conseguenza agli occhi dei messicani come l’unica autorità forte, credibile e intenzionata a sconfiggere il Covid. Gli uomini dell’organizzazione criminale, rimarca il quotidiano diretto da Massimo Giannini, pattugliano appunto armati le strade di Culiacán, capitale dello Stato di Sinaloa, attuando un rigido coprifuoco.
Il medesimo cartello ha anche realizzato, evidenzia sempre La Stampa, un video inteso a sensibilizzare la gente riguardo all’importanza, in questi tempi di pandemia, del rimanere chiusi in casa. Nel filmato, citato dal giornale, si sente una voce che intima: “Alle dieci di sera, tutti devono stare in casa per il coronavirus, altrimenti saranno puniti. Questi sono ordini che vengono dall' alto. Non stiamo giocando”.
Per chi viola l’obbligo di isolamento precauzionale, sottolinea il quotidiano torinese, scattano infatti pesanti punizioni, con gli scagnozzi de “Los Chapitos” che provvedono a fare sparire almeno per due giorni e a torturare, mediante bastonate, chi viene beccato a spasso in strada. Oltre a prendere a mazzate i trasgressori, gli uomini del Cartello comminano anche una sanzione pecuniaria a questi ultimi.
Chi però, nonostante le punizioni, si ostina a violare il coprifuoco imposto dai narcos a Sinaloa “può finire peggio”.
La sostituzione del potere criminale all’autorità dello Stato sta avendo luogo in Messico non solo sul piano del mantenimento dell’ordine e dell’attuazione di restrizioni anti-contagio, ma anche per quanto riguarda l’assistenza sociale.
Il Cartello guidato da “Los Chapitos” ha infatti messo su un vero e proprio Welfare State in antitesi a quello ufficiale e inefficiente gestito dal governo federale, così da accattivarsi sempre più consenso da parte della cittadinanza.
In particolare, evidenzia La Stampa, l’ideatrice e la promotrice delle attività assistenziali della famiglia criminale di Sinaloa sarebbe Alejandrina Gisselle Guzman, figlia di “El Chapo” e proprietaria di una casa di moda.
L’imprenditrice sarebbe infatti in prima linea nella distribuzione di beni di prima necessità alla gente impoverita a causa dell’epidemia di coronavirus.
Alejandrina, a detta del giornale diretto da Giannini, girerebbe infatti per diverse città donando ai residenti “scatole di cartone con disegnata sopra la faccia del Chapo, che contengono cibo, mascherine e disinfettanti”.
Il Welfare State creato dai Guzman ha subito indotto le gang rivali, come Jalisco Nueva Generación, a buttarsi a capofitto in analoghe iniziative assistenziali a beneficio dei messicani affamati.
L’imperversare della mala sul fronte dell’imposizione delle restrizioni anti-Covid e della distribuzione di generi di prima necessità avviene nel Paese, rimarca il quotidiano, mentre il presidente Lopez Obrador continua a sostenere che “El Chapo non comanda più in Messico” e si abbandona a gesti ambigui, come quello di recarsi personalmente a salutare María Consuelo Loera Pérez, la madre del boss detenuto negli Usa.
L’epidemia di coronavirus è ormai divenuta per il Messico, anziché un’occasione di unità nazionale, un espediente utile ai cartelli della droga per dimostrare al governo federale chi è che comanda veramente nel Paese.
Sempre secondo La
Stampa, quanto sta avvenendo in quella nazione deve servire da avvertimento soprattutto per l’Italia “perché il comportamento delle mafie per il controllo del territorio si assomiglia un po' dappertutto”.
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