Da una parte c'è buona parte della Chiesa cattolica occidentale, specie quella italiana, che rilancia con cadenza quotidiana il tema dell'accoglienza dei migranti, dall'altra ci sono i vescovi africani, che sul fenomeno e sulle sue conseguenze hanno una visione molto differente sin dai tempi dell'esplosione della crisi migratoria.
I presuli di quelle nazioni, quelle abbandonate da tanti giovani che cercano fortuna e futuro in Europa, nutrono preoccupazioni lampanti per quello che sta accadendo. L'ennesima conferma è arrivata in queste ore, con le numerose firme poste sotto a un documento ufficiale, stilato al termine di un'assemblea plenaria, che sollecita le persone che manifestano una volontà di andarsene a non intraprendere un'Odissea rischiosa. Quella che non di tado termina con un naufragio fisico ed esistenziale.
Pochi giorni fa, era stato un cardinale a tuonare contro quei presidenti che non garantiscono prospettive concrete alle giovani generazioni africane: il porporato nigeriano John Onaiyekan li ha invitati alle dimissioni. Adesso, il coro sembra essere diventato unanime, pure perché il testo presenta le sottoscrizioni di ecclesiastici appartenenti a sedici Stati. Non è una novità di poco conto: significa tra i vescovi che sta crescendo la convinzione di dover intervenire affinché l'Africa non divenga una terra compleatamente svuotata dalle sue forze. La "Chiesa senza confini" contrasta con quello che questi consacrati desidererebbero per le loro zone di provenienza. L'ecclesiastico più alto in gerarchia a esprimersi in termini simili è stato il prefetto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, Robert Sarah. Si è spinto a parlare di "strane organizzazioni umanitarie". Le stesse che, promettendo il "nirvana di Instagram" - come lo chiamava Stephen Hawking - metterebbero a repentaglio le sorti africane.
Il documento dei vescovi è solo l'ultimo degli appelli che gli stessi hanno lanciato nel corso di questi anni.
L'immigrazione di massa, che le Conferenze episcopali europee definiscono spesso un'occasione buona per alimentare il multiculturalismo e l'integrazione tra popoli, è percepita come un avversario da chi, in Africa, opera in nome e per conto della Chiesa cattolica.
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