Mondo

Palazzo Niavaran, la dimora "cristallizzata" dello Shah di Persia

Negli anni Settanta sono passati da qui i politici di mezzo mondo e i grandi intellettuali dell'epoca. Tutto è rimasto fermo al 16 gennaio del '79

Palazzo Niavaran, la dimora "cristallizzata" dello Shah di Persia

Teheran - La presa elettrica anni settanta sembra uscita da un film sulla macchina del tempo. Gli occhi non possono che ammirarla, è rimasta lì da quando il tempo si è fermato e ha congelato questo palazzo in cui sono passati i grandi della storia. Chi ha studiato all'università Scienze Politiche non può che sentire un brivido sulla schiena toccandola. Tutto attorno la carta da parati, i quadri, i mobili, sono gli stessi che furono guardati, toccati, amati da Mohammad Reza Pahlavi e Farah Diba.

Nei giardini e negli edifici del palazzo Niavaran, dimora dello Shah di Persia durante gli anni Settanta, sono passati i politici di tutti i paesi che contano, i grandi artisti dell'epoca e molti intellettuali. Questo palazzo è stato testimone di avvenimenti studiati e raccontati nei testi di storia, il tentativo di modernizzare l'antica Persia, finito drammaticamente, anche per i tanti fatali errori dello Shah. La divisione del fronte laico, figlio della guerra fredda e della mancanza di democrazia nel Paese, portò le sinistre ad allearsi con l'ayatollah Khomeini. Il risultato fu la prima rivoluzione islamica. Dopo pochi anni per le idee dei laici di sinistra non ci fu più spazio, tanto che i giovani rivoluzionari finirono nelle stesse carceri in cui erano stati rinchiusi gli alleati dello Shah che non erano fuggiti. Molti non ne uscirono.

Il bagno di uno dei figli dello Shah è molto semplice, le mattonelle bianche sono ricoperte di adesivi di Topolino e Paperino. La stanza, con il soffitto a forma di tenda del deserto, contiene ancora i suoi animali di peluche, i suoi libri e i modellini degli aerei delle forze armate iraniane. Gli stessi che si trovano nell'antico palazzo qajar a pochi metri che contiene ancora le sale gioco dei ragazzi. Una pelle d'orso bianco trionfa vicino alle foto di famiglia, agli sci, agli strumenti musicali e giocattoli vari. Il tutto è abbastanza semplice. Quello che rende questi oggetti di vita quotidiana diversi sono i donatori o le storie a cui sono legati. Ci sono i certificati da pilota degli aerei delle forze armate iraniane del figlio Reza, i regali fatti ai figli dello Shah dai potenti del mondo come il frammento lunare che Nixon regalò in una visita ufficiale. Farah Diba sorride da una foto mentre guarda il figlio che si è arrampicato su un albero, Reza in tuta aeronautica davanti a un caccia.

In giorni come questi, in cui gli integralisti islamici mostrano la loro faccia più orrida e stupida, massacrando disegnatori di fumetti che fanno ironia sulle religioni e su Maometto, il fallimento di quell'Iran che aveva tentato di aprirsi al mondo globalizzato, appare ancora più evidente.

Certamente lo Shah non era un fervente democratico e, se invece di mettere in carcere i laici di sinistra che gli si opponevano come il democratico Mossadeq o i comunisti, avesse garantito maggiori spazi di libertà, probabilmente oggi l'Iran sarebbe ben diverso. La storia, è noto, non si fa con i se, e le dinamiche della guerra fredda avevano le loro logiche.

Oggi appare chiaro che aver diviso i laici secondo i muri della guerra fredda ha finito per favorire Khomeyni. L'ayatollah, mutando la tradizionale visione dell'Islam, sciita come sunnita, che non ha un Papa o un autorità che decide dogmi indiscutibili, ha invece creato uno Stato in cui il leader supremo decide quale Islam e quali politiche siano corrette e quali no. Una rivoluzione in un mondo come quello islamico in cui erano sempre stati i Sultani, i Califfi e gli Shah a comandare sulla comunità e sui religiosi. Regnanti che non entravano molto nelle diatribe teologiche interne al mondo islamico, se non nella tradizionale frattura sciiti contro sunniti.

Ecco perché ancora oggi nel mondo islamico esistono centinaia di Islam diversi, ognuno con le sue interpretazioni. Questo mutamento della tradizione avvenne grazie alla capacità di Khomeyni di sfruttare sia gli errori dello Shah, che il diffuso malcontento per la mancanza di libertà. Il religioso si alleò con la sinistra per poi liberarsene, anche con la carcerazione e pene durissime, una volta che si era servito di essa per vincere le elezioni.

Nella cultura tradizionale iraniana precedente alla riforma agraria portata avanti dallo Shah con la prima “rivoluzione bianca” i contadini erano completamente dipendenti da qualche decina di grandi famiglie che possedevano il 50 per cento delle terre del Paese. Quello che aveva permesso a questo sistema feudale di non crollare per millenni era una certa elasticità. Se da una parte era vero che un contadino dipendeva dal feudatario come un vero e proprio servo della gleba, dall'altro, in caso di carestie o altri problemi, il signore era tenuto a garantire la sopravvivenza dei propri lavoratori. Quando lo Shah portò avanti la riforma agraria e altre innovazioni per modernizzare il paese non comprese che una società moderna e industriale ha anche essa bisogno di una certa elasticità per non crollare. Quello che di solito impedisce ai lavoratori di non odiare i proprietari delle imprese o ai cittadini di avere un buon rapporto con lo stato sono i partiti politici, un sistema pluralistico, i sindacati, la società civile. Tutti elementi che riducono la tensione in caso di conflitti. Le due rivoluzioni bianche portate avanti da Mohammad Reza Pahlavi, diedero alle donne diritti simili agli uomini, espropriarono le terre alle poche famiglie feudatarie per darle ai contadini, istituirono il servizio civile, creando una grande classe medio borghese che dopo alcuni anni fu attraversata dalle normali inquietudini che sempre hanno le borghesie urbanizzate. Inquietudini che invece di trovare sfoghi nella politica o nella società civile si sono trovate di fronte a un re che trattava i cittadini come sudditi da educare. A lungo andare la rigidità del sistema di fronte al malcontento trasversale che toccava sia la borghesia in cerca di maggior libertà, sia i socialisti o i comunisti, i religiosi conservatori o fondamentalisti che semplici cittadini scontenti, ha fatto crollare il regno.

Tutto è fermo a quel giorno, il 16 gennaio 1979.

La dimora dello Shah a Teheran 5

Negli scaffali della biblioteca di Farah Diba non sono più stati aggiunti libri, l'enorme splendida statua africana, le statue di Arnaldo Pomodoro e Parviz Tanavoli, i regali dei regnanti di mezzo mondo si alternano ai volumi in quella che è forse una delle più belle biblioteche mai costruite negli anni settanta. Tra i ventitremila libri appaiono per esempio una prima edizione firmata da Walt Disney e un'edizione di lusso del libro di Mohammad Reza Pahlavi, Mission for My Country, pubblicato dalla Dino Editore. Vi è molta Italia sparsa qua e là, mobili, statue, libri. Dal soffitto della biblioteca una pioggia di cristalli si proietta sui lettori, in mezzo alla sala un'immensa specchiera ingloba un camino e un antico quadro Qajar. Il capolavoro dell'architetto, Aziz Farmafarmayan, non può che colpire profondamente gli amanti dello stile degli anni 70. In questa sala si percepisce tutta l'illusione di un'Iran moderno aperto e protagonista allo stesso tempo della cultura del novecento.

Farah Diba aveva creato tra l'altro il più importante museo d'arte moderna fuori dall'Europa e dal Nord America che esponeva opere di Kandinsky, Pollock, Monet, Pissarro, Van Gogh, Picasso, Giacometti, Bacon, Ernst Magritte, Warhol, Lichtenstein, Mirò, Braque, Munch, Degas, Morandi, Balla, Duchamp, Marini. Oggi tutti questi quadri, che furono salvati durante la rivoluzione islamica, sono quasi sempre tenuti nel caveau del museo perché considerati immorali. Pochi mesi fa sono stati esposti qualche mese durante una mostra temporanea.

Basta però vedere le opere iraniane esposte nei piani superiori o nei musei internazionali per rendersi conto che il processo di apertura al mondo dell'arte iraniana non si è affatto arrestato, anzi, oggi gli artisti locali sono tra i più quotati a Parigi, Londra o New York. Il cammino di apertura alla globalizzazione intrapreso nel secondo dopo guerra non si è, a ben guardare, fermato, si è semplicemente trasformato in fiumi carsici che mutano la società grazie a mille culture underground. Inoltre le decine di televisioni satellitari iraniane che trasmettono tutti i format internazionali modificano gli stili di vita in modo capillare. La sera gli iraniani più che ai sermoni dei religiosi o hai discorsi di politica sembrano interessati a Fathma Gul, la laica soap opera turca che tutti illegalmente guardano.

Mentre l'Iran e gli Stati Uniti trattano per tentare di risolvere un conflitto politico più che trentennale, tentando di trovare un possibile, anche se non amichevole, equilibrio, lo studio dentistico privato di Mohammad Reza Pahlavi nel palazzo Niavaran è rimasto congelato e non sembra essere interessato allo scorrere del tempo.

Commenti