Guerra in Ucraina

La paralisi strategica sul fronte Mosca-Kiev. O si sblocca la trattativa o sarà Guerra Fredda

Dopo quasi 6 mesi di conflitto le posizioni sono congelate. La Russia bombarda le città, l’Ucraina colpisce la logistica nemica e la Crimea. Lo scenario è quello di una nuova Corea. Ma non è escluso che alla lunga possa favorire il dialogo.

La paralisi strategica sul fronte Mosca-Kiev. O si sblocca la trattativa o sarà Guerra Fredda

Quasi sei mesi di guerra in Ucraina. Quasi sei mesi da un'invasione che doveva produrre un risultato rapido, quello che la propaganda putiniana aveva mascherato dietro i più inverosimili slogan nell'immutabile stile del Cremlino: denazificazione e demilitarizzazione dell'Ucraina. Che, tradotto nel linguaggio della verità, significava decapitazione della democrazia a Kiev con eliminazione del presidente Volodymyr Zelensky e cessione della sovranità ucraina a Mosca. Quel risultato non è arrivato, l'«operazione speciale» che avrebbe dovuto ottenerlo si è trasformata in un pantano impastato di sangue molto ucraino, ma anche moltissimo russo: i caduti per il sogno imperiale di Putin si stimano in decine di migliaia e dopo mesi di bombardamenti e di combattimenti la parola più adatta a descrivere la situazione è «stallo».


Uno stallo strategico, come lo ha definito il consigliere di Zelensky Oleksiy Arestovych. In altre parole, l'avanzata russa nel Donbass si è praticamente arrestata, mentre l'annunciata controffensiva ucraina verso Kherson segna il passo. Non che le due parti non si stiano impegnando per smuovere il fronte, anzi: è che non ci riescono. A Est i russi pagano altissimi prezzi di sangue per ogni metro conquistato in una battaglia di posizione fatta di trincee, artiglierie pesanti e assalti di fanteria; ma anche questa avanzata è resa ormai quasi impossibile dai colpi chirurgici inferti a grandissima distanza dagli ucraini con i lanciamissili americani Himars e con simili armi britanniche e francesi sui depositi di armi e munizioni, sui ponti, sulle basi militari. La logistica dell'attacco russo è sconquassata, i depositi devono essere arretrati e le linee di rifornimento allungate per sfuggire ai colpi del nemico. Così ai russi non restano che i bombardamenti terroristici e feroci sui bersagli civili, gli sfregi alle città ucraine che non riescono a conquistare. Come Kharkiv, dove ieri 12 civili sono morti sotto le macerie di un edificio residenziale trasformato in bersaglio e altri 20 sono rimasti feriti, come Mikolayv (ieri un morto e due feriti), come Odessa.


Nel Sud gli ucraini s'ingegnano a contrattaccare. Hanno più volte distrutto gli strategici ponti sul grande fiume Dnipro e puntano a riconquistare il grande porto fluviale di Kherson prima che i russi lo annettano per mezzo di un referendum burletta. Ma anche la loro avanzata è lenta e sofferta, e l'obiettivo tante volte annunciato appare quantomeno incerto. Risultati notevoli vengono conseguiti in Crimea, la penisola che Putin ha annesso alla Russia dopo un colpo di mano militare nel 2014 e che Zelensky proclama di voler riprendere: in questi giorni ci sono stati efficaci attacchi a basi aeree e depositi di munizioni russi, probabilmente condotti (Kiev evita rivendicazioni esplicite per cautela) da commandos d'elite appoggiati da partigiani locali. Mosca insiste trattarsi di azioni senza effetti rilevanti, il che è discutibile e dipenderà da quanto spesso si ripeteranno: certamente è rilevante l'effetto sui turisti russi che frequentavano le spiagge della Crimea e che a migliaia hanno preferito tornarsene precipitosamente in patria, formando con le loro auto sovraccariche code dirette al ponte di Kerch che imbarazzano il Cremlino, che ne aveva fatto un simbolo nazionalistico.


Strategico o meno che sia, lo stallo attuale in Ucraina potrebbe configurare in prospettiva uno scenario di tipo coreano: una guerra che si trascina per anni e che finisce col cristallizzarsi nella divisione in due parti del Paese interessato, in perfetto stile Guerra Fredda. In questo caso, un Est in mano ai russi e un Ovest filo europeo che difende la sua indipendenza grazie alle armi occidentali: in Corea va così da settant'anni. I più ottimisti vedono nello stallo anche un'opportunità di dialogo.

Tutto è possibile, e c'è chi ci prova: ma se somiglia a quello coreano, campa cavallo.

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