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Dal muro con il Messico alla paura dell'islam. Così Trump si è preso il Partito repubblicano

Donald Trump si candida alle primarie repubblicane il 16 giugno 2015. Nessuno lo prende sul serio, ma lui, uno dopo l'altro, annichilisce tutti gli avversari. Promette un sogno: fare di nuovo grande l'America. La convention di Cleveland lo incorona candidato ufficiale del Gop

Dal muro con il Messico alla paura dell'islam. Così Trump si è preso il Partito repubblicano

Il 16 giugno di un anno fa Donald Trump convocava una conferenza stampa per annunciare la propria decisione di candidarsi alle primarie repubblicane per la corsa alla Casa Bianca. Nessuno lo prese sul serio nel partito conservatore. Tredici mesi dopo, annichiliti uno dopo l'altro i suoi avversari (16), è lui l'uomo che il Grand old party sceglie ufficialmente come proprio candidato per il voto dell'8 novembre. In extremis i leader istituzionali del Gop si allineano al tycoon: lo speaker della Camera Paul Ryan e il leader della maggioranza al Senato, Mitch McConnell, salgono sul palco e gli danno il loro sostegno. Un sostegno tardivo e riluttante, che non stupisce visto che fino all'ultimo l'establishment repubblicano ha cercato di far deragliare il treno Trump, considerato impresentabile, inopportuno, sguaiato, pericoloso. In altre parole, quasi un "incidente della storia". Lui, però, settimana dopo settimana, ha sbaragliato la concorrenza, che mai è riuscita a fare fronte comune. E proprio sfruttando le divisioni interne al Gop ha scalato il partito.

Ora i repubblicani, dilaniati come non mai, provano a ricompattarsi sfruttando un collante collaudato: l'odio nei confronti di Hillary Clinton. "Quello che diciamo è che dobbiamo unire il partito, l'unità è tutto - dice Paul Ryan - amici repubblicani quello che abbiamo iniziato oggi, portiamolo a termine e vinciamo". Ryan non ha nascosto le tensioni e le fratture che la stagione
delle primarie ha creato all'interno del partito. "Abbiamo avuto le nostre discussioni? Certo che le abbiamo avute, ma sapete come le definisco? Segnali di vitalità, segnali che il nostro partito non procede a mozioni, non usa nuove parole per cose vecchie". E piazza l'affondo ai democratici: "Guardatevi la convention democratica la prossima settimana, quattro giorni di pubblicità della morale politically correct, questo ci ricorderà che cosa è in gioco alle prossime elezioni: potrete sopravvivere per quattro giorni togliendo l'audio, ma ancora quattro anni di questa roba? Assolutamente no".

Inevitabile, poi, un riferimento alle tensioni razziali che si sono riaccese in America. Ryan accusa i democratici di "dividere costantemente le persone, sempre mettendo un gruppo contro l'altro come se l'identità di gruppo fosse tutto: ma in America - si è chiesto lo speaker - non dovremmo andare oltre la classe sociale?". La risposta dei democratici è speculare: con Trump le divisioni aumenterebbero, con gravi rischi per tutti. La paura, e la sacrosanta richiesta di sicurezza, saranno termi centrali nel dibattito da qui a novembre. Ovviamente sarà importante anche l'economia, così come la politica internazionale.

Un successo impensabile

"Poco più di un anno fa - dice il tycoon in un messaggio video ai delegati di Cleveland - ho annunciato la mia candidatura alla Casa Bianca e con il voto di oggi si chiude questa fase del processo presidenziale: questo è un movimento, ma ora dobbiamo andare fino in fondo, sono così orgoglioso di essere il vostro candidato per la presidenza degli Stati Uniti". Trump giustamente rivendica con orgoglio il proprio successo, impensabile un anno fa.

Ha vinto, contro tutto e tutti, promettendo un sogno: "Make America Great Again" (Fare di nuovo grande l'America). Lo slogan rievoca una frase usata da Ronald Reagan nel 1980 ( "Let's Make America Great Again"), un vero e proprio "mito" per la destra Usa. Anche Obama aveva vinto "vendendo" un sogno, quello del cambiamento. Hillary Clinton si presenta invece per continuare il lavoro fatto da Obama. Due visioni di America contrapposte e distanti: una si ostina a vedere il bicchiere mezzo pieno, l'altra lo vede vuoto.

Riuscirà, Trump, a riunire gli scontenti, anche quelli ormai arcistufi della politica? Se sarà in grado a novembre potrebbe stupire di nuovo tutti.

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