In Australia un folto gruppo di 600 sacerdoti cattolici si è schierato apertamente contro l’attuazione delle nuovi leggi che prevedono l’obbligo per tutti i sacerdoti di denunciare alle autorità i casi di violenza sui minori appresi durante il sacramento della confessione.
La misura al centro delle polemiche è una delle 122 raccomandazioni che la Commissione nazionale d'inchiesta sulle risposte delle istituzioni agli abusi di pedofilia ha stilato dopo oltre due anni d’indagine.
"Ogni sacerdote degno del suo nome farebbe tutto il necessario per proteggere i bambini, ma senza violare il sigillo della confessione" ha affermato padre Scot Armstrong, presidente dell'Australian Confraternity of catholic clergy.
"La Confraternita e i 600 sacerdoti che hanno aderito all’appello considerano le nuove norme inattuabili, oltre che inaccettabili in principio" ha continuato il religioso.
La forte presa di posizione fa appello al diritto canonico riguardante il sacramento della penitenza per il perdono dei peccati. Secondo i preti, infatti, questa legge comporterebbe solo un’intrusione dello Stato nella sfera del sacro violando la libertà di religione ed il legame che intercorre tra il penitente e Dio.
"Il sigillo del sacramento si applica al rapporto personale del penitente con Dio e quindi non è solo questione di diritto canonico ma di diritto divino, da cui la Chiesa non ha il potere di esentare" ha infine concluso Armstrong.
Se la legge dovesse essere approvata i sacerdoti che restano in silenzio dopo aver acquisito notizie legate a casi di abusi su minori durante la confessione rischiano multe fino a 10mila dollari per omessa
denuncia.Si prevede che la norma entri in vigore nel South Australia nel prossimo ottobre. Inoltre leggi simili sono in via di discussione nel Western Australia, in Tasmania e nel Territorio della capitale federale Canberra.
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