Il giorno prima del contrastato referendum indipendentista, il presidente della Catalogna Carles Puigdemont gioca la carta della furbizia. In un'intervista al quotidiano in lingua catalana Ara, invita a rispettare il diritto del suo popolo a esprimersi attraverso il voto, ma assicura che un eventuale risultato favorevole alla secessione non sarà seguito da una dichiarazione unilaterale di indipendenza.
Una mossa che può essere scambiata per un passo indietro, ma che a ben vedere punta invece a consolidare ciò che sarà riuscito a portare a casa alla fine della lunga giornata di oggi. «La gente deve poter votare - dichiara Puigdemont -. Ma qualunque cosa accada la Catalogna avrà guadagnato il diritto a essere rispettata: non dico a essere riconosciuta come Stato indipendente, ma il diritto a essere ascoltati e rispettati ce lo siamo guadagnati e non può togliercelo nessuno, a partire da Madrid fino alla Ue». Poi l'abile apparente concessione a Madrid sulla questione dell'indipendenza: «Tutti capiscono che le grandi decisioni devono essere consensuali» e che si deve cercare «un'agenda politica per attuare il risultato che sia ragionevole, realistica ed effettiva».
Quanti credono di aver capito che ciò significhi una frenata sostanziale rispetto a precedenti dichiarazioni decisamente indipendentiste vengono «serviti» con le frasi successive: «Serve una grande dose di pazienza comprensione e flessibilità. Dobbiamo fare in modo che tutto quello che otteniamo il 1° ottobre non si perda il 2. Quello che abbiamo cercato per anni, che otterremo e festeggeremo la notte del 1°, sono convinto che non lo rovineremo il 2 o il 3». Dunque, niente dichiarazioni unilaterali di indipendenza in seguito a un'eventuale vittoria nel referendum, ma solo per motivi tattici: non è il momento adatto per forzare la situazione. Del resto, poco prima, il presidente catalano si era detto indisponibile ad assumersi responsabilità per eventuali episodi di violenza.
Mentre Puigdemont parla con la stampa, Mariano Rajoy tace e parla con i fatti. I seggi predisposti dal governo di Barcellona vengono chiusi su ordine del premier di Madrid e ora dopo ora prosegue l'afflusso di forze dell'ordine inviate per far rispettare il divieto di tenere il referendum anticostituzionale. Rajoy non lascia dubbi sulla categoricità di questa decisione, assumendosi anche il rischio di possibili ricadute di ordine pubblico nel nome del rispetto della legalità. Meno certe sono le prospettive dell'indomani, quando spetterà comunque alla politica gestire una situazione complessa e potenzialmente pericolosa.
Riveste così particolare interesse il tema dell'apertura di un canale di dialogo tra Rajoy e Puigdemont. Il leader catalano vorrebbe che questo compito venisse assunto da Bruxelles, da dove però continuano a giungergli solo messaggi di sostegno alle posizioni di Madrid.
In mancanza di questo, circolano voci secondo cui il leader basco Inigo Urkullu sarebbe disposto ad assumersi l'incarico. Il suo partito nazionalista basco appoggia il referendum catalano, ma in una recente intervista lo stesso Urkullu aveva riconosciuto la «mancanza di garanzie» di quella consultazione per i cittadini.
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