«Se i due candidati avessero avuto come obbiettivo di incrementare il già rilevante numero di giovani che non crede più nella democrazia » ha scritto il New York Times a conclusione della campagna elettorale americana «non avrebbero potuto fare di meglio». Purtroppo, è la verità: nella recente storia degli Stati Uniti, nella corsa alla Casa Bianca non era mai stato toccato un livello così basso, non si erano mai usate tante insinuazioni, calunnie e bugie, non si era mai arrivati – come ha fatto il Washington Post nell’intento di screditare Trump, ad andare a scovare la registrazione di una chiacchierata fatta undici anni prima nello spogliatoio di una palestra.
Eppure, la frase del miliardario, che si vantava con un amico che un uomo della sua posizione e ricchezza poteva possedere qualsiasi donna semplicemente saltandole addosso (l’originale era ancora più volgare), è stata uno degli elementi-chiave della campagna con cui la maggior parte dei media e dei social network hanno cercato di distruggerlo: secondo alcuni, sarebbe stata addirittura decisiva nell’orientare a favore della Clinton un buon numero di donne bianche, anche di fede repubblicana, nei cosiddetti stati-pendolo e perciò alla fine della fiera potrebbe risultare decisiva per l’esito delle elezioni. Ma, sul filone dei presunti abusi sessuali del suo avversario, Hillary si è spinta anche più in là, andando a cercare una per una le donne che asseriscono di essere state molestate da Trump ed esibendole addi rittura ai suoi comizi. I democratici (e l’80 per cento della stampa americana schierata per l’occasione con loro) hanno anche cercato di incastrare il candidato repubblicano sul problema delle tasse, che egli non ha pagato per quasi un ventennio a compenso di una perdita di 900 milioni denunciata nel 1998 e che sarebbe risultata da un’operazione ai limiti della legalità.
L’attacco è in parte fallito, nel senso che non è emerso nulla di penale, ma la rivelazione, dovuta a un lungo lavoro di giornalismo investigativo, non gli ha certo giovato presso il nocciolo duro del suo elettorato, composto da uomini bianchi di estrazione medio-bassa in rivolta contro la perdita di posti di lavoro e il peggioramento del loro tenore di vita. L’arma principale di Trump è stata invece di appiccicare a Hillary l’etichetta di «disonesta», speculando incessantemente sulle ricche donazioni che la Fondazione Clinton ha ricevuto da Stati arabi mentre lei era segretario di Stato, sui compensi miliardari che ha ricevuto da diversi big di Wall Street per discorsi di cui non è mai stato pubblicato il testo, senza contare l’affare delle mail riguardanti affari di Stato trovate sul suo iPhone e sul suo pc personali (per cui l’Fbi, pare sotto pressione dello stesso Obama, l’ha peraltro scagionata proprio ieri). «Crooked Hillary» era il suo grido di battaglia, talvolta addirittura seguito dalla minaccia (accolta con applausi dai suoi sostenitori) di mandarla in prigione. Ma anche sul piano del sesso, non è andato giù leggero: ha schernito Hillary per avere tollerato, al solo scopo di non rovinare le sue possibilità di carriera, i sistematici tradimenti di suo marito Bill e, a sua volta, ha invitato alle sue manifestazioni le donne che avevano avuto relazioni con l’ex presidente.
Da persone a lui vicine è arrivata anche l’insinuazione, che è circolata ampiamente su Facebook, che dopo l’affare Lewinski la Clinton sia diventata «una lesbica predatrice » e che il suo rapporto con la sua prima assistente Huma Abedin (incidentalmente, anche musulmana) non sia limitato al lavoro comune. Inoltre, ha affermato più volte che gli Stati Uniti non potevano affidare la carica di «comandante in capo» a una donna. Ma anche quando affrontavano temi seri, i due candidati hanno privilegiato un linguaggio apocalittico.
Ancora ieri, Trump ha affermato che egli rappresentava l’ultimo baluardo contro «le oscure forze straniere che minacciano l’identità americana» e la Clinton, pur confortata dagli ultimi sondaggi, ha replicato che una presidenza Trump costituiva una minaccia per la libertà e un ritorno al razzismo, all’omofobia e perfino all’antisemitismo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.