Regaliamo ai giovani comunisti un bel viaggio all’Arcipelago gulag

In Russia la Gioventù rossa si oppone al monumento che ricorda il premio Nobel Aleksandr Solženicyn che rivelò gli orrori dei campi di concentramento sovietici. Dove i prigionieri diventavano cannibali e si veniva condannati a morte innocenti anche solo da un equivoco

Il Premio Nobel Aleksandr Solzhenitsyn
Il Premio Nobel Aleksandr Solzhenitsyn

Saranno anche giovani, ma sono già vecchi. Vecchi e volutamente ignoranti. Nei giorni scorsi i Giovani comunisti si sono indignati per un grave attentato alla democrazia: il bassorilievo con l’immagine di Aleksandr Solzhenitsyn inaugurato sullla facciata del palazzo dove il Premio Nobel venne arrestato dalla polizia comunista nel 1974. Non vogliono monumenti su di lui. Lo accusano nientemeno di essere stato un collaboratore intellettuale dei nazisti. Dicono: «Commemorare un antisemita nazista e nazionalista come Solzhenitsyn è sputare in faccia a chi ha lottato contro il nazismo, è sputare in faccia l popolo sovietico». Dicono proprio così: sovietico. Come se esistesse ancora. Come se aver sconfitto l’orrore nazista assolva dall’orrore di essere stati comunisti.Solzhenitsyn invece è un eroe. Raccontò nel suo celebre «Arcipelago Gulag», la dittatura russa, la giustizia proletaria, i campi di sterminio sovietici. Riuscì a microfilmare il testo e a farlo avere ad alcuni amici francesi perché il Kgb gli aveva sequestrato tutto. Fu preciso, documentato, micidiale. E nel 2009 è diventato testo obbligatorio nelle scuole superiori russe.iCosa fossero i campi di concentramento sovietici lo spiega anche «I racconti della Kolyma» di Varlam Salamov. All’ingresso di tutti i lager sovietici per esempio c’era la scritta: «Il lavoro è una questione di onore, di gloria, di valore e di eroismo». Fa il paio con «il lavoro rende liberi» nazista. Ma come dirlo ai giovani comunisti? Era difficile trovare, racconta una sola famiglia i cui parenti, amici o conoscenti non avessero subito persecuzioni o repressioni. Con punte di orrore. Durante un trasferimento di prigionieri il capo convoglio scese e fece l’appello. La pioggia sbiadì l’inchiostro e non fu possibile leggere i numeri ma soltanto i nomi. L’ultimo era Alias Berdy e mancava all’appello. Si trattava di un equivoco ovvero del soprannome di un detenuto non del nome di un deportato. Il capoconvoglio, temendo di essere punito per quella che credeva essere un’evasione, risolse la faccenda a modo suo, andò nel villaggio più vicino, arrestò il primo asiatico che gli capitò a tiro, quindi non un oppositore, non un dissidente, non un fascista, ma un povero cristo qualsiasi, distrusse i suoi documenti gli affibbiò l’identità di Alias Berdy e lo caricò sul vagone. In nome dell’uguaglianza e della fratellanza comunista.Molte volte non era possibile nemmeno seppellirli i morti: il terreno sassoso e il ghiaccio perpetuo si rifiutavano di accogliere i corpi. Bisogna trivellare, far saltare in aria il terreno per poterlo fare. «Uno dei principali sentimenti del lager è l’immensità della mortificazione». Si moriva per niente: bastava dire ad alta voce che il lavoro era pesante per essere fucilati. Per qualsiasi osservazione anche la più inoffensivo, nei confronti di Stalin, c’è la fucilazione. Restare in silenzio quando tutti gridano urrà a Stalin: anche questo basta per essere fucilati». Per scappare si era pronti a tutto, anche a diventare bestie più di come ti riduceva la prigionia. Due detenuti decisi a fuggire si fecero amico un prigioniero poco sveglio, gli diedero razioni supplementari di cibo e gli confidarono i loro progetti di evasione.

Una volta fuggiti prima divisero con lui la scorta di viveri che si erano portati, quindi arrostirono lui, il detenuto stesso, in parte lo mangiarono subito, il resto lo misero sullo zaino. Ai giovani comunisti bisognerebbe ricordare, ma lo sanno benissimo, che questo rappresenta la loro bandiera con la falce e con il martello. Così per capire chi sputava in faccia al popolo sovietico...

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