"La rivolta cresce oltre la capitale. Ma Lukashenko può resistere"

La Bielorussia si infiamma e ora il presidente Aleksander Lukashenko appare sempre più in crisi, nonostante le ultime elezioni siano apparse come un plebiscito

"La rivolta cresce oltre la capitale. Ma Lukashenko può resistere"

Aldo Ferrari, docente alla Ca’ Foscari di Venezia e direttore delle ricerche su Russia, Caucaso e Asia centrale per il centro studi Ispi di Milano, è uno dei massimi esperti italiani del mondo post sovietico. E ha visitato diverso volte la Bielorussia.

Il presidente Alexander Lukaschenko, che dichiara di essere stato confermato con l’80% dei voti per il sesto mandato consecutivo è l’ultimo dinosauro dell’era sovietica?
“Uno dei pochi sopravvissuti in continuità con il regime sovietico è proprio Lukashenko. Fa più impressione perchè si trova ai confini orientali dell’Europa. Ma direi che ce ne sono altri in giro in Asia centrale”.

Come ha fatto a rimanere al potere per 26 anni?
“Lukashenko ha avuto nei confronti della trasformazione politica ed economica, dopo il crollo dell’Urss, un approccio più graduale rispetto ad altri paesi. Non c’è stata la privatizzazione forzata, che negli anni novanta anche in Russia ha prodotto dei veri e propri sconquassi politici e sociali. La Bielorussia, senza rimanere comunista, non ha conosciuto il tracollo economico delle repubbliche post sovietiche, a parte quelle baltiche. E grazie a questa maggiore continuità e sostanziale stabilità del livello di vita è rimasto al potere. Ha potuto lucrare soprattutto sulla soddisfazione delle generazioni più anziane”.

La leader dell’opposizione, Sviatlana Tsikhanouskaya, è fuggita in Lituania. Cosa sta accadendo?
“La Bielorussia non va demonizzata, ma tantomeno idealizzata. E’ un paese con un livello democratico e una libertà d’informazione molto bassi, che in questi giorni sono stati ulteriormente ridotti. Le proteste ci sono e continuano, come era accaduto per le elezioni precedenti, data la scorrettezza sostanziale del ricorso al voto. Negli scontri sono soprattutto i giovani a scendere in piazza principalmente nella capitale, ma la grande novità è che le manifestazioni si stanno sviluppando anche nei centri minori. Le forze di sicurezza fedeli a Lukashenko sono costrette a spezzettarsi diminuendo la capacità di intervento. In passato queste crisi sono sempre state superate con la repressione e l’appoggio sostanziale di gran parte del paese. Adesso bisognerà capire se, davvero, la maggioranza della popolazione sta cambiando opinione perchè stanca del dominio di Lukashenko”.

L’opposizione in Bielorussia ha consistenza?
“Nel paese è sempre mancata un’opposizione organizzata. Il cambiamento di regime può avvenire, anche in Bielorussia, ma bisogna tenere conto che la popolazione non vive in una situazione di degrado economico e sociale tale da venire spinta a rischiare la vita e il lavoro per scendere in piazza. L’economia è poco sviluppata, ma sana. Non esiste un sentimento nazionalistico forte come in Ucraina in senso anti russo che possa catalizzare la rivolta e non c’è un amore così appassionato per l’Unione europea. Però la stanchezza di un presidente sempre uguale a se stesso, che non sa modernizzare il paese si sta diffondendo”.

La Commissione europea ha sollevato “ragionevoli dubbi” sul risultato elettorale. E’ così?
“Mi sentirei di condividere questa valutazione. Non c’erano osservatori internazionali. L’80% dei voti pare ampiamente esagerato. Pensare che la principale rivale abbia ottenuto meno del 10% dei consensi lascia sconcertati. Per dirla con una battuta questa volta Lukashenko avrebbe potuto barare in misura inferiore. Forse sta perdendo la dimensione della realtà come accade a tanta gente al potere da troppo tempo”.

Tsikhanouskaya è una leader per caso dell’opposizione?
“In effetti è un po’ leader per caso. Si tratta di una giovane donna intelligente, ma con nessuna preparazione politica, che non ha proposto un programma elettorale. Tsikhanouskaya ha solo detto “eleggetemi, che la prossima volta le elezioni saranno corrette e democratiche”. Si è presentata come una figura di transizione verso un futuro migliore e diverso del paese”.

In Italia, soprattutto il Pd, sta chiedendo al governo di intervenire. Cosa ne pensa?
“Mi sembra un riflesso condizionato. Non credo che il Pd conosca la Bielorussia meglio di altri paesi. A Minsk gli standard parlamentari e democratici sono molto, molto bassi, ma cosa può fare una potenza medio piccola come l’Italia? Una dichiarazione, forse, che non cambierebbe la situazione sul terreno. L’Unione europea potrebbe imporre sanzioni, ma sappiamo quanto siano inutili. Non servono e compattano i paesi contro chi le impone. Credo che la richiesta del Pd non abbia molta forza e forse si tratta solo di bassa cucina romana (il Venezuela di Maduro, che molti grillini vedono di buon occhio, si è complimentato fra i primi con la vittoria di Lukashenko nda) senza rilevanza internazionale”.

Non è la rivolta ucraina di Maidan ma molti dei paesi coinvolti allora sono gli stessi come la Germania che chiede sanzioni, i paesi Baltici, la Polonia che si offre per mediare e le nazioni del Nord Europa. E’ un caso?
“Il motivo è geografico, ma anche storico e culturale. E comunque psicologico-politico a cominciare dai paesi del Nord Europa che sono molto seri sulle virtù democratiche. L’idea di avere nazioni post sovietiche vicine, che non rispecchiano questi standard li irrita profondamente. I nobili polacchi hanno dominato per secoli i contadini ortodossi bielorussi. E poi la Bielorussia viene percepita, anche se le cose non stanno proprio così, vicina a Mosca. Attaccare Minsk significa attaccare pure Mosca”.

Siamo di fronte ad un tentativo di riesumare le rivolte arancioni, con lo zampino occidentale, per cambiare il regime?
“Ho più di una sensazione che certe organizzazioni mettano sempre lo zampino in queste manifestazioni. Ma a differenza delle rivoluzioni arancioni di Georgia e Ucraina, in Bielorussia mancano i presupposti ultranazionalisti e anti russi. Non escludo che determinati paesi stiano provando anche in Bielorussia a mettere in piedi una rivoluzione arancione o di altro colore, ma gli appigli sono decisamente minori”.

Nonostante le congratulazioni ufficiali del Cremlino erano stati arrestati alla vigilia del voto presunti contractor russi accusati di volere creare il caos. E in queste ore diversi giornalisti di Mosca sono stati fermati. I rapporti con la Russia di Lukashenko non sono poi così cordiali?
"La Bielorussia fa parte di tutte le principali organizzazioni di difesa, politiche ed economiche create da Mosca, ma sempre con una fortissima rivendicazione della propria indipendenza. Anche per l’annessione della Crimea, Minsk non si è affatto accodata alla Russia. Solo pochi mesi fa Lukashenko ha rifiutato per l’ennesima volta il processo di avvicinamento a Mosca. Da tanti anni si parla di una sostanziale unità fra la Russia e Minsk, ma non è mai avvenuta. Lukashenko tende a vendersi al migliore offerente o almeno a guardarsi attorno strizzando l’occhio all’Occidente. Dire che il presidente bielorusso sia appiattito sulle posizioni di Mosca o prenda ordine da Putin è sbagliato”.

Quindi è vero che Lukashenko vorrebbe avvicinarsi all’Occidente?
“Sta tentando come tutti i governi autoritari di mantenere il potere. In quest’ottica cerca di ottenere investimenti dall’Occidente.

Lukashenko si barcamena da anni e se supererà questa crisi continuerà ad ammiccare all’Occidente sperando che vada tutto bene. Non è il massimo della strategia politica, ma può mantenerlo al potere ancora per decenni, anche se superato dalla storia”.

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