Una preghiera dal significato fortemente simbolico nella moschea Eyup Sultan di Istanbul dove si recavano i sultani ottomani prima di assumere il potere. È stato questo il primo atto pubblico di Recep Tayyip Erdogan, il «sultano del ventunesimo secolo» come l'hanno ribattezzato i media locali più o meno entusiasti, dopo la diffusione di risultati parziali ma inequivocabili delle elezioni presidenziali in Turchia.
Nessuna sorpresa è uscita ieri dalle urne turche: Erdogan era favoritissimo, l'unico dubbio era se ce l'avrebbe fatta al primo turno o se avrebbe avuto bisogno di affrontare un ballottaggio per imporsi. Ieri pomeriggio, quando circa quasi il 90 per cento dei voti espressi per le prime presidenziali a suffragio diretto della storia del Paese era stato scrutinato, al premier islamico Recep Tayyip Erdogan veniva attribuito circa il 53 per cento; distaccatissimo, attorno al 38 per cento, il suo principale avversario Ekmeleddin Ihsanoglu, candidato del Partito repubblicano del popolo e del Movimento nazionalista, le due maggiori forze di opposizione «secolare», mentre non raggiungeva il 9 per cento il candidato della minoranza curda Salahattin Demirtas.
I risultati ufficiali saranno disponibili solo nella giornata di oggi, ma a questo punto sono irrilevanti: più che di una vittoria, è fin d'ora evidente che si tratta di un trionfo per Erdogan, che liquida già al primo turno la pratica delle presidenziali. L'uomo che ha chiesto di diventare «presidente del popolo» per i prossimi cinque anni (ma potrà ripresentarsi per un successivo mandato quinquennale) ha ottenuto dall'elettorato una risposta entusiastica e si prepara ad attuare quello che è sempre stato - anche se inizialmente lo aveva dissimulato per cautela - il suo obiettivo politico: chiudere entro una parentesi storica, al termine di un paziente lavoro durato anni, l'era della Turchia laica, quella inaugurata da Kemal Atatürk negli anni Venti del secolo scorso. Messa sotto controllo la magistratura, asservita o intimidita buona parte della stampa e dei media, limate con progressive infiltrazioni di propri fedeli in divisa le unghie dei generali che sono stati per ottant'anni i guardiani del kemalismo, l'abile populista Erdogan è riuscito nell'ultimo anno anche a superare gravissimi scandali e proteste di piazza e sembra ora pronto per imporre al suo Paese una svolta autoritaria d'impronta islamica.
Il leader dell'Akp, che controlla il potere in Turchia ormai da dodici anni passando da una larga vittoria elettorale all'altra, non nasconde di voler attuare questo programma trasferendo alla figura del capo dello Stato, finora relativamente secondaria, una serie di poteri che modificheranno in senso presidenzialista il sistema istituzionale turco. Una prospettiva che allarma il fronte laico e nazionalista, che per queste presidenziali aveva messo da parte antiche divisioni riuscendo a presentare un candidato comune, ma che nonostante questo ha subito una inequivocabile sconfitta.
Il rischio che Erdogan, forte soprattutto dell'innegabile benessere economico di cui i turchi hanno goduto in quest'ultimo decennio di espansione, riesca a stravolgere il quadro istituzionale allontanando in sostanza il Paese dall'Occidente è concreto. Ma conoscendone lo stile, non dovremo attendere a lungo: sarà lo stesso Erdogan nelle prossime ore a far capire dove intendere portare la Turchia che gli si è ancora una volta affidata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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