Guerra in Ucraina

Il terzo fronte che rovescia i rapporti tra Putin e Zelensky

Con il suo linguaggio empatico e universale Zelensky costringe i russi ad inseguirlo con risultati spesso inefficaci. Tutti i segreti della comunicazione dei due leader

Quel terzo fronte che rovescia i rapporti tra Putin e Zelensky

È il terzo fronte e assomiglia a una partita a scacchi dove le regole sono state scritte da chi non conosce il confine tra verità e menzogna. Ci sono tante guerre nel conflitto ucraino. Quella che si combatte sul terreno, quella che sta mettendo in ginocchio l’economia e quella che si muove sul piano della comunicazione ed è capace di influenzare le prime due. Da un lato Putin e dall’altro Zelensky. È il regno della razionalità che si confronta con quello delle emozioni. Dell’evolversi di questo scontro ne ha parlato Francesco Giorgino, giornalista e direttore del master Luiss in Comunicazione e Marketing politico e istituzionale, nel suo intervento al convegno “La guerra in Ucraina: politica, economia e comunicazione” organizzato dall’ateneo romano. Tra i duellanti ce n’è uno che è partito avvantaggiato per caratteristiche individuali e trascorsi professionali. È l’ex attore comico Zelensky. Quali sono i punti di forza del suo messaggio? Al di là dell’attitudine, alle spalle ha uno staff estremamente capace, che ha reso quello con i suoi social network una specie di appuntamento fisso per l’opinione pubblica.

È quella che Giorgino chiama “continuità strategica”. Non solo giornalisti e addetti ai lavori, ma anche semplici utenti, ogni giorno si informano direttamente dalle piattaforme social del presidente ucraino. È dai lì che passa la stragrande maggioranza della comunicazione del leader “resistente”. Ed è lì che viene offerta al pubblico la rappresentazione di una leadership “forte, salda, coraggiosa, la drammaturgia di un leader di popolo e per il popolo”. Funzionale alla narrazione è l’abbigliamento informale, come l’ormai iconica maglietta verde militare. Tutto ciò lo colloca agli antipodi rispetto all’avversario russo, che invece “continua a privilegiare la televisione, con uscite pubbliche limitate e un abbigliamento formale”. Il grande gap è anche di carattere quantitativo. “Da parte di Zelensky c’è un ampio e sapiente ricorso alla cosiddetta news saturation, ovvero – chiarisce Giorgino – la capacità di saturare il mercato della domanda di informazione. Il presidente ucraino di fronte alle tante difficoltà di ricostruzione dei fatti occupa il campo anche dal punto di vista comunicativo, sedimentando la propria versione e costringendo l’avversario all’inseguimento con risultati a volte goffi”.

Tra i tratti distintivi di Zelensky c’è la “capacità di interlocuzione” e il ricorso al “codice emozionale e patetico”. Cosa che alle latitudini moscovite è assolutamente sconosciuta. Lo Zar preferisce parlare la lingua dell’economia e del potere. La materia contro lo spirito, il cinismo contrapposto all’epopea romantica. Anche la platea dei due attori è decisamente diversa. Quella di Zelensky è più ampia, perché il suo è un messaggio che punta all’universalità. “All’inizio ha parlato al suo popolo invitandolo alla resistenza, poi ha allargato di tanto lo spetto del suo discorso, rivolgendosi al cuore delle persone. È come se parlasse guardandoci negli occhi, ci costringe a interpellare la parte morale e più nascosta di noi”. A questo punto la mente non può che correre ai parallelismi che hanno caratterizzano gli ultimi discorsi del presidente ucraino: a Washington ha evocato l’11 settembre, a Berlino il Muro, a Roma una Genova sepolta dalle macerie e così via. In questo modo, continua il professore, “ha attivato processi di identificazione” che hanno fatto breccia nei destinatari, spronandoli alla “call to action”. Prova ne sia che alla fine anche i Paesi più riluttanti hanno convenuto sulla necessità di inviare all’Ucraina aiuti miliari. “La possiamo definire una comunicazione underdog, che – spiega il docente – è la comunicazione tipica del cane bastonato. La vittima, se sa autorappresentarsi come cane bastonato, inevitabilmente, suscita solidarietà”.

“Quella di Putin invece è una comunicazione che potremmo definire difensiva, spesso carente per quantità e qualità del messaggio, che propone l’idea del potere e dell’assenza di dubbi da parte russa della guerra in Ucraina”, puntualizza il professore. Uno storytelling iniziato ben prima dello scoppio delle ostilità. Il leader russo ha cominciato a sviluppare una narrazione pre-conflitto, ricorrendo alla presunta necessità di “denazificare” il Donbass per giustificare l’uso della forza. “C’è molta strumentalità nelle argomentazioni usate dal presidente russo per spiegare le ragioni di quella che lui continua a definire un’operazione militare speciale, formula che produce un gioco linguistico assurdo sotto il profilo dell’attivazione dei significati”. Se l’obiettivo di Zelensky è incitare il popolo alla resistenza e l’Occidente a venirgli in aiuto, quello di Putin è “restituire l’immagine di un Paese felice e favorevole alla guerra”. Non solo. Il leader russo si rivolge molto più all’interno che all’esterno. Parla al suo popolo.“La sua è una call to action interna che serve a scongiurare il rischio della perdita del potere”.

Tutti e due in qualche modo giocano per sopravvivere.

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