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Trump va alla guerra: "È ora di vincere. Più armi per 54 miliardi"

La proposta del presidente nel piano di bilancio. Risorse attraverso i tagli degli aiuti all’estero

Trump va alla guerra: "È ora di vincere. Più armi per 54 miliardi"

Aveva annunciato un «aumento storico» delle spese militari e ha mantenuto la promessa. Anche questa. Anzi, se possibile ieri - alla vigilia del suo primo discorso sullo stato dell’Unione del quale si anticipa che avrà toni ottimistici - è andato oltre. Donald Trump si è infatti confermato il «presidente dei generali» inviando alle agenzie federali una sua proposta di budget per il 2018 che prevede un aumento di ben 54 miliardi di dollari, pari al 9 per cento del bilancio attuale.

Gli Stati Uniti sono già oggi di gran lunga il Paese che spende di più per la Difesa, circa 600 miliardi di dollari l’anno. Il programma di Trump prevede di effettuare tagli equivalenti agli aumenti previsti per gli armamenti. Un piano preciso non è stato ancora fornito (si parla solo di «ridurre i programmi con priorità più bassa »), ma si parla di forti tagli agli aiuti all’estero, mentre è stato esplicitato che le agenzie di sicurezza non subiranno decurtazioni.

Sicurezza è la parola chiave per Trump da ben prima della sua elezione alla Casa Bianca, ed è stata uno dei cardini del suo inatteso trionfo lo scorso 8 novembre. Il presidente, che ieri ha incontrato i governatori degli Stati americani, ha detto loro che la sua decisione di incrementare così fortemente le spese militari altro non è che la logica conseguenza della sua promessa agli elettori di garantire la sicurezza nazionale. Dopodiché ha fatto ricorso a un linguaggio quasi più adatto a eventi sportivi che a scelte istituzionali. «Gli Stati Uniti non vincono più una guerra - ha detto Trump -. Non vinciamo mai, e non combattiamo per vincere».

Se c’è una guerra che Trump ha promesso di combattere e di vincere fino all’annientamento del nemico, è quella contro l’Isis. Nei primi giorni dopo il suo insediamento, il presidente aveva chiesto al Pentagono di presentargli i piani per la «soluzione definitiva» del problema Stato Islamico, e ieri i generali lo hanno accontentato, delineando - secondo il portavoce del ministero della Difesa - una strategia ampia che include anche iniziative diplomatiche. La Casa Bianca ha fatto sapere che inizierà «subito a valutare le proposte». Da notare che 120 generali e ammiragli a riposo, tra cui David Petraeus e l’ex capo di stato maggiore dell’esercito George Casey, hanno inviato al Congresso una lettera in cui chiedono di non destinare alla Difesa fondi tagliati alla diplomazia, perché «noi sappiamo dai nostri militari che molte delle crisi che il nostro Paese deve fronteggiare non hanno solo soluzioni militari».

Ieri intanto è tornato a far sentire la sua voce dopo un lunghissimo silenzio l’ex presidente George W. Bush, uno degli avversari interni di Trump nel partito repubblicano. Bush ha preso le difese dei media Usa, criticando indirettamente Trump che li aveva definiti «nemici del popolo americano». «Considero la stampa indispensabile alla democrazia - ha detto Bush -.

Noi abbiamo bisogno che la stampa faccia sì che le persone come me (i presidenti Usa, ndr) rispondano delle loro azioni».

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