Mondo

Usa, il Rhode Island cambia nome: "Va eliminato il significato razzista"

Il cambio del nome ufficiale dello Stato dovrà essere ratificato da un referendum popolare, che dovrebbe avere luogo in Rhode Island a novembre

Usa, il Rhode Island cambia nome: "Va eliminato il significato razzista"

La governatrice democratica dello Stato Usa del Rhode Island, situato sulla costa est del Paese, ha appena deciso di modificare il nome dell’entità federata, al fine di rimuovere dalla denominazione incriminata ogni legame con il passato schiavista e razzista. La governatrice di sinistra Gina Raimondo ha infatti, mediante un ordine esecutivo, riscritto il nome ufficiale dello Stato, risalente all’anno di fondazione di quest’ultimo, il 1636. La modifica avviene in questi giorni segnati dalle proteste internazionali in ricordo di George Floyd e delle minoranze etniche oppresse dai bianchi, nonché su impulso di una petizione, lanciata su Change.org, proprio per il cambio di nome del Rhode Island e che ha raccolto nelle ultime due settimane oltre 7.250 firme.

Nel dettaglio, il provvedimento adottato due giorni fa dalla Raimondo, pubblicizzato dalla stessa su Twitter, riscrive la denominazione dello Stato che ha finora campeggiato sui documenti governativi, sostituendo lo storico nome “Rhode Island e Providence Plantation” con le sole parole “Rhode Island”.

Per effetto della decisione dell’esponente dem, la nuova denominazione dell’entità federata dovrà comparire sulle missive ufficiali dell’esecutivo statale e su tutti i siti Internet delle agenzie governative locali. La stessa politica liberal ha auspicato che la burocrazia del suo Stato possa ultimare “il prima possibile” la sostituzione, su tutti gli atti pubblici, del vecchio nome “schiavista” dell’entità federata con quello appena introdotto.

Relativamente alle ragioni del cambiamento di denominazione, la Raimondo si è appellata alla necessità di eliminare il razzismo presente a livello individuale e istituzionale nel proprio Stato.

La cancellazione delle parole “Providence Plantation” dal nome ufficiale dell’entità federata è appunto diretta, ha rimarcato la politica progressista, a fare sparire ogni riferimento all’epoca in cui gli schiavi neri soffrivano nelle piantagioni americane di cotone e tabacco.

Su quest’ultimo punto, la governatrice ha dichiarato ai media Usa: “Il dolore che quel riferimento provoca a molti dei nostri cittadini dovrebbe preoccupare tutto il popolo del Rhode Island e noi quindi dovremmo fare tutto ciò che è in nostro potere per assicurare che, finalmente, tutte le comunità si sentano orgogliose di questo Stato”.

Proprio il Rhode Island, ironia della sorte, fu la prima colonia britannica in America ad abolire la schiavitù, nel 1652. Tuttavia, lo sfruttamento dei neri continuò a essere lì perpetrato fino al termine del diciassettesimo secolo.

La strategia revisionista dei democratici del Rhode Island, all’indomani dell’entrata in vigore dell’ordine esecutivo citato, non accenna però a fermarsi. Il prossimo passo sarà infatti l’indizione di un referendum statale volto a ottenere il consenso popolare sul cambio del nome incriminato. La votazione dovrebbe avere luogo a novembre, in concomitanza con le presidenziali e con le elezioni per il Congresso di Washington.

Il primo firmatario della proposta di legge per l’organizzazione del referendum sul cambio di denominazione è Harold Metts, attualmente l’unico membro di colore del Senato del Rhode Island. Egli ha espresso con le seguenti parole il proprio sostegno all’iniziativa della Raimondo circa lo stravolgimento del nome dello Stato. A detta di Metts, il termine “Plantations” presenta appunto un significato “terrificante”, in quanto rievoca il passato razzista e tragico degli Stati Uniti.

In realtà, ricorda la stampa a stelle e strisce, vi è già stata in passato una votazione in cui i cittadini del posto sono stati chiamati a esprimersi sull'eliminazione delle parole "Providence Plantations" dalla denominazione ufficiale dell'entità federata, ma in quell'occasione, ossia nel 2010, la proposta fu bocciata da circa il 78% degli elettori.

Commenti