Le montagne del Giro chiamano Cunego

Arrivano le prime salite: dopo l’acuto di Basso nella crono a squadre, attesa la risposta del rivale

Cristiano Gatti

nostro inviato a Forlì

Si chiama Saltara. Un nome che rischia di diventare onomatopeico, per il Giro d'Italia 2006: chi non sta attento può persino giocarsi l'intero piatto, saltando sulla prima mina di questo percorso micidiale. Se a qualcuno sembra una sparata giornalistica, può tranquillamente ascoltare quanto dice Danilo Di Luca, uno dei big, nonostante sia il meno considerato: «È come una Liegi-Bastogne-Liegi, cioè una classica durissima. La distanza, 236 chilometri, e il dislivello, 4000 metri, parlano da soli. Una tappaccia. Con un singolare dettaglio: il giorno dopo c'è pure l'arrivo in salita sulla Maielletta...».
Un tranquillo week-end di paura. Questo prepara il Giro d'Italia, a chi abbia voglia e passione per distrarsi almeno un po' dal cataclisma pallonaro. Le prime montagne - che risultano spesso molto indigeste - proposte di sabato e di domenica, nei giorni in cui un onesto cristiano può stravaccarsi sul divano di casa e gustarsi la corsa in santa pace. Come sembrano lontani i tempi in cui piazzavano le tappe più belle rigorosamente di martedì e di giovedì, con geniali scelte strategiche ispirate direttamente da Tafazzi.
Altri tempi, altre strategie. Ormai anche i più trinariciuti hanno capito che il meglio del cartellone deve stare nel week-end. Questa due giorni tra Marche e Abruzzo, due regioni che già di per sé propongono visuali avvincenti, offre ai palati fini della bicicletta le prime sfide in quota. Non sono altitudini da vertigine, ma le pendenze sono da capogiro. Dosi omeopatiche di Mortirolo.
Siccome è sempre meglio fare nomi e cognomi, conviene farli subito: Bettini, Di Luca, Simoni e soprattutto Cunego. Cioè gente di fondo - è pur sempre la tappa più lunga del Giro - ma soprattutto agile e fulminea. Inevitabilmente, il nome di Basso è un po' meno spendibile: il suo motore diesel gira meglio sulle lunghe salite in alta quota.
Messa così la questione, si intuisce subito come la spettabile concorrenza del grande favorito sia chiamata a tentare subito. Lui, Basso, il suo dovere l'ha ampiamente compiuto volando nella cronosquadre, secondo previsione e secondo le indicazioni del tracciato. Ora tocca a quelli che vogliono recuperare terreno e restituirgli lo schiaffo.
Così, a naso, chi ha le maggiori impellenze è sicuramente Simoni, già troppo indietro per prendersela comoda. E oltre tutto il trentino sa che presto l'aspettano i cinquanta chilometri della cronometro toscana, dove Basso può davvero fare più danni della grandine. Come Simoni, però, hanno più o meno gli stessi motivi anche gli altri della compagnia scattisti. Se queste belle gioie vogliono davvero mettere in mezzo il nemico Ivan, devono darsi una mossa. Subito. Senza tanti calcoli. A costo di saltare a Saltara (chiedo scusa, a volte scappano).
Certo, il meglio di giornata - opinione ovviamente personalissima - sarebbe assistere ad uno show di Cunego. Lo dico per il bene superiore del nostro ciclismo: a questo Giro, sul quale già si sta profilando l'ombra lunga di Basso, manca il controcanto dell'odiato rivale. Lo stiamo aspettando tutti quanti, tutti quelli che il giovane talento hanno visto calare un giorno sul pianeta rosa per poi diventare l'indiscusso padrone, con l'imprevedibile naturalezza e la candida disinvoltura di un Piccolo Principe. Ecco, il grande ritorno servirebbe già da oggi, in una tappa buonissima per il suo spunto elettrico, così da allestire subito il duello più atteso, un duello da portare poi in giro per l'Italia intera, per montagne e vallate, villaggi e contrade, scatenando le antiche divisioni di uno sport fatto apposta per dividere. In senso buono, nel senso più bello. Senza colpi bassi e senza carognate...


Però attenzione: mentre noi parliamo di cose nostre, arriviamo a Forlì con la vittoria di un australiano (McEwen) e con la maglia rosa di un tedesco (Pollack), che la toglie a un ucraino (Gonchar). Mettiamola così: da anni non si assisteva a una corsa tanto cosmopolita. Da anni, eventualmente, una vittoria italiana non sarebbe così vera.

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