Più d’uno provò ad accompagnare Indro Montanelli sul sentiero della fede. A cominciare da papa Wojtyla che lo invitò a cena in Vaticano, nell’estate del 1986. Parlarono molto, quasi non toccarono cibo, e conclusero la serata inginocchiandosi a pregare, nella cappella privata del Pontefice, in memoria della madre di Indro, donna molto devota. Su quell’incontro Montanelli scrisse di getto un articolo che la Segreteria di Stato approvò senza riserve, ma a patto che fosse pubblicato solo dopo la morte del Santo Padre. Montanelli mise il pezzo in un cassetto e disse: «Va bene, lo ritirerò fuori quando morirà». Il suo condirettore al Giornale, Biazzi Vergani, uomo pragmatico non privo di senso dell’umorismo, ricordandosi che Montanelli aveva undici anni più di Wojtyla, gli chiese: «Ma Indro, tu quanto pensi di campare?».
Parecchio tempo prima, un’altra anima pia che cercò di conquistare Montanelli alla fede cristiana - offerta alquanto azzardata per chi la compiva, ma discretamente gradita da colui che si trovava a riceverla - fu Pippo Corigliano, di certo meno carismatico e teologicamente convincente di un Papa, ma ugualmente tenace e speranzoso (e, a dare ascolto agli immancabili denigratori dell’Opera, di cui è numerario da cinquant’anni e portavoce da quaranta, persino più potente). Corigliano - fede cristallina pari solo all’impeccabilità dell’eleganza, da cui la nomea di «mistico dalla cravatta giusta» - fece conoscere al dubbioso giornalista toscano l’Opus Dei e gli parlò a lungo del Fondatore, Josemaría Escrivá de Balaguer. Tanto a lungo e tanto bene da convincere Montanelli a scrivere al Papa, che allora era Paolo VI, una lettera postulatoria per la causa di canonizzazione di colui che oggi è Josemaría.
Era il 22 maggio 1978 e Indro Montanelli, con tutta l’ufficialità del caso, su carta intestata del Giornale nuovo, scriveva: «Beatissimo Padre, ritengo che sia opportuno e utile per la Chiesa Cattolica e per la nostra società, bisognosa di modelli di vita esemplare, iniziare la causa di beatificazione di monsignor Josemaría Escrivá de Balaguer, morto nel giugno del 1975. Conosco e stimo l’Opus Dei, da lui fondata, e ritengo che la fama di santità che circonda la sua persona sia pienamente giustificata».
Tre anni dopo la Congregazione delle Cause dei Santi - non certo convinta da Montanelli, sia chiaro, ma tenendo conto di migliaia di lettere di testimonianza, tra cui la sua - concederà il nihil obstat per l’apertura della causa di canonizzazione. Nel maggio del 1992 Giovanni Paolo II celebrerà la cerimonia di beatificazione e - il 6 ottobre 2002 alla presenza di oltre 300mila fedeli provenienti da tutto il mondo - quella che proclamerà santo Josemaría Escrivá de Balaguer.
Come racconta Pippo Corigliano nel suo libro intitolato con sublime leggerezza Un lavoro soprannaturale (Mondadori) - in parte autobiografia della «voce» principale dell’Opera, in parte testimonianza di un’anima fra tante dell’Opera - Montanelli (il quale a metà degli anni Ottanta sul Giornale ribattè colpo su colpo agli attacchi che l’Espresso sferrò contro la «setta» spagnola) dimostrò sempre una certa «curiosità» per l’Opus Dei e per il suo Fondatore. A partire da un viaggio in Spagna, nella primavera del ’77.
L’Università di Navarra, un’attività apostolica dell’Opera, aveva invitato il famoso giornalista italiano per una serie di conferenze, e Montanelli accettò, a condizione che ad accompagnarlo fosse lo stesso Corigliano: «Così se cade l’aereo io mi abbraccio a lei, e andiamo tutt’e due in paradiso», sembra gli abbia detto partendo. Comunque, il tour spagnolo fu un trionfo per Montanelli il quale, al ritorno in Italia - dove in quel momento le università erano nel caos - scrisse del miracolo di un «centro studi come non ricordavo di averne più visti almeno da una trentina d’anni a questa parte... L’università di Navarra nacque meno di venticinque anni fa, nel ’52, in una città che di tradizione accademica non ne aveva... E non per opera dello Stato ma su iniziativa privata di una società che non è un ordine religioso in quanto è formata soprattutto da laici, ma si comporta come se lo fosse nel senso più alto e nobile della parola: l’Opus Dei».
E dopo aver descritto la disciplina e l’entusiasmo dei ragazzi, concludeva: «Avevo ritrovato degli studenti che studiavano, avevo finalmente conosciuto dei giovani forse divisi come opinioni politiche ma uniti da questa incrollabile convinzione: che al mondo ci si viene non per passarvi soltanto, ma per farvi qualcosa. Piccola o grande, non importa. Ma qualcosa.
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