Montecarlo, ora la Procura non può tacere Ecco tutti i documenti che fanno tremare Fini

Confremato l'arrivo di nuove clamorose prove: il presidente della Camera ha mentito. Le carte in Procura. Il Pdl chiede le sue dimissioni, ma lui vieta il dibattito in Aula. Nei documenti di Saint Lucia le prove che le due società off-shore fanno riferimento a Giancarlo Tulliani

Montecarlo, ora la Procura non può tacere 
Ecco tutti i documenti che fanno tremare Fini

Il neopartito che si candida a guidare un nuovo centrodestra e il Paese Intero, il Fli, ha un capo furbetto, reticente e forse anche un po’ bugiardo. Gianfranco Fini, infatti, della famosa casa di Montecarlo svenduta al cognato ne sa molto di più di quanto abbia giurato nei drammatici videomessaggi che hanno allietato la scorsa estate. Ricordate? Non è vero niente, è solo una campagna di fango, se fosse vero mi dimetto. Ecco, appunto. È tutto vero. Lo provano, secondo quanto risulta al Giornale, i documenti arrivati al governo italiano e ora custoditi nella cassaforte del ministro degli Esteri, Franco Frattini. Il quale ne ha consegnato una copia alla Procura della Repubblica di Roma che ancora sta indagando, si fa per dire, su quel brutto pasticcio.
È strano come la magistratura sia così efficiente e celere quando si occupa di Berlusconi (in pochi giorni, con grande schieramento di forze e mezzi, sono state ricostruite le frequentazioni di un anno ad Arcore) e sia invece lenta, paralizzata, quando si tratta di fare luce su Gianfranco Fini. Che evidentemente sperava, o forse era stato da qualcuno rassicurato, di poterla fare franca. Nessun pm si era preoccupato non dico di interrogarlo, ma neppure di farci due chiacchiere al bar. Nessun magistrato ha sentito il bisogno di salvare almeno l’apparenza convocando il cognato, Giancarlo Tulliani, tantomeno le decine di testimoni portati a galla dai nostri cronisti. Ovviamente, nessuna intercettazione o fuga di notizie.
Spenti i riflettori, dirottata l’attenzione altrove, brindato al bunga bunga, Fini ha ripreso a fare il paladino della legalità e dell’etica politica a tempo pieno. E con lui i Bocchino, i Granata, i Briguglio. Pensava di farla franca ma, come capita agli arroganti, non ha fatto i conti con l’imprevisto. Che arriva da Santa Lucia e, a quanto pare, è inequivocabile. Non che le prove mostrate la scorsa estate dal Giornale non fossero sufficienti a far concludere che quella casa, transitata per società off-shore e svenduta sottocosto con grave danno ai beni del partito, fosse un affare di famiglia sulla pelle dei militanti di An. Ma ora anche ogni tentativo di negare l’innegabile non starebbe più in piedi.
E forse in quelle carte, che tra poche ore, inevitabilmente, in un modo o nell’altro diventeranno pubbliche, c’è anche di più. Cioè la prova che Fini ha mentito ripetutamente ai suoi colleghi di partito e agli italiani tutti, anche là dove non era necessario, per depistare da una ipotesi di reato. Semplicemente ci ha preso in giro proprio come i bambini sorpresi con le mani nel vasetto di marmellata.
Fini non ha voluto dimettersi mesi fa davanti all’evidenza, smentendo anche le sue parole. Non ha voluto lasciare lo scranno quando è sceso nel ring della politica perdendo anche formalmente il suo ruolo di arbitro e terza carica dello Stato.

Potrebbe farlo in queste ore prima di essere definitivamente sbugiardato. Ieri gli è stato chiesto e ha risposto di no. Dovrà farlo tra non molto, quando i nuovi documenti gli faranno perdere anche il sostegno di una opposizione fino ad ora complice.

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