Cronache

Montessoro, profumo di campi e tracce di Impero romano

Montessoro, profumo di campi e tracce di Impero romano

Cosa faceva un contadino dell'Appennino ligure, ai tempi dell'Impero romano? Come viveva, cosa mangiava, che abitudini aveva? Sembra strano, ma gli studiosi fino a poco tempo fa non sapevano molto di tutto questo. Non certo per disinteresse: semplicemente c'era poco materiale su cui lavorare. Pochi reperti, nessun insediamento apprezzabile da scavare e analizzare. Questo fino al momento in cui il caso ha voluto rivelare, dopo duemila anni, i resti di una grande fattoria, la prima di questo genere scoperta in Liguria. È successo a Montessoro, frazione di Isola del Cantone finora conosciuta tra i cultori di storia locale per ciò che rimane di un castello feudale della famiglia Spinola ragionevolmente resistito al tempo. Proprio a poche decine di metri da quei ruderi medievali, un agricoltore locale arando un campo ha scoperto tegole e pietre troppo particolari per risalire ai giorni nostri.
«È un complesso di sette edifici abitati a cavallo dell'anno Zero, poi abbandonati e ritornati a vivere tra il quarto e il sesto secolo dopo Cristo. E per dare un'idea dell'importanza del sito, basti ricordare che è il primo scavo esteso di tutto l'Appennino ligure». Lo rivela l'archeologo Giovanni Battista Parodi, che dal 2009, da quando cioè i primi sondaggi hanno portato a capire che c'era in ballo una scoperta di straordinaria importanza storica, è il responsabile dello scavo di Montessoro. Parodi, genovese, agisce per conto dell'Università di Torino, che si è aggiudicata la concessione. Per il terzo anno consecutivo - l'ultimo, poi la campagna potrà dirsi conclusa - decine di studenti del corso di Archeologia scendono nel piccolo paese ligure per portare alla luce, centimetro dopo centimetro, storie di gente di campagna vissuta in un'epoca la cui vita rurale non è stata indagata a fondo quanto quella urbana.
«Di sicuro - spiega Parodi - l'insediamento non era in contatto diretto con Genova, ma con Libarna, città fiorente collegata tramite la via Postumia. Era abitato da contadini, che vivevano di allevamento e, più che di coltivazione in senso stretto, di ciò che davano loro i boschi circostanti», in un'epoca in cui i terrazzamenti e l'Appennino eroicamente consegnato all'agricoltura dovevano ancora venire. Ma con quali frutti si sopravvivesse ai tempi è una domanda a cui potranno rispondere - e la cosa dà idea delle affascinanti procedure dell'archeologia - piccole particelle di pollini rimaste sulle tegole e sulle pietre degli edifici. Pollini che quindi forniranno informazioni inedite anche sulla storia naturale della zona.
E la gente? «Gente semplice, con ogni probabilità, quella che abitava qui», prosegue il responsabile di scavo. «Una famiglia unica, che bastava per sé e si fabbricava vestiario e attrezzi da lavoro: abbiamo trovato pesi da telaio e tracce di lavorazione di metallo. Frammenti di scrittura? Quello proprio no, comunque possiamo affermare tranquillamente che si trattava di gente romanizzata, che parlava latino». Dei sette fabbricati, quattro sono stati liberati dalla terra che li aveva inghiottiti per tanti secoli. O meglio, è stato liberato quel che ne resta: trenta, quaranta centimetri in altezza di muro a secco, di pietre impastate con argilla, che descrivono piante di forma essenziale, quadrangolare. «Abbandonati per lunghi secoli, abbiamo ragiona di pensare che gli edifici, già ridotti a ruderi, siano stati abbattuti intorno al diciottesimo secolo». Ora gli scavi proseguono «fino alla fine di ottobre, se il tempo regge: allora avremo raccolto le informazioni necessarie», che saranno presentate ufficialmente dalla Sovrintendenza genovese ai beni culturali. Per il momento i montessoresi, che non trascurano certo il privilegio culturale di ospitare tracce di storia così importanti, organizzano occasionalmente visite guidate allo scavo (nel rispetto della riservatezza delle attività) e ai suoi dintorni, con il castello Spinola e la chiesa parrocchiale, tutte raccolte in un triangolo di una cinquantina di metri in mezzo a un verde quasi scozzese. Quel che sarà dopo la fine delle operazioni non è certo: ricoprire tutto il sito o lasciarlo libero? In entrambi i casi la scelta potrebbe essere dolorosa, sospesa tra la malinconia di richiudere la porta su una scoperta che ha regalato importanza ad un piccolo villaggio e la difficoltà di mantenerla adeguatamente in futuro.

La decisione spetterà comunque alla Sovrintendenza.

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