Nove mesi di agonia, un lungo calvario tra un presidio ospedaliero e laltro, poi la morte, stroncato da uninfezione malcurata e diventata letale. Aveva una sessantina danni Pietro Di Tommaso, direttore delle Poste del quartiere San Paolo, quando una sepsi (linfezione ormai allargata a tutto lorganismo) a pochi giorni dal Natale del 2001 lo strappò alla famiglia. La moglie, Romilde, dal dolore, morì poco dopo di crepacuore. I cinque figli - che si videro tolto dalla banca persino il mutuo per comprare la casa dopo la morte del papà - da allora chiedono giustizia. Hanno presentato un esposto alla Procura e, nonostante ben quattro richieste di archiviazione da parte del pubblico ministero Katya Summaria, il giudice per le indagini preliminari Claudio Carini ha deciso di mandare a processo tre medici del complesso ospedaliero Portuense, oggi «Policlinico Di Liegro», per cooperazione in omicidio colposo. Davanti al giudice monocratico di piazzale Clodio, aula 22, a maggio compariranno i medici Carlo Scorza, Marco DElia e Angelo Di Lorenzo, quali «responsabili delle cure cui venne sottoposto Di Tommaso, per colpa - come cita il decreto di rinvio a giudizio - consistita in un inadeguato trattamento dellascesso perineale presentato dal paziente».
Lodissea di Pietro ha inizio nellaprile 2001. Primo ricovero tra il 2 e il 9 del mese. Poi un secondo tra fine aprile e maggio. «Di Tommaso viene di volta in volta seguito da personale medico diverso e spostato da una struttura interna allaltra - spiega Giorgio Bernardi, presidente dellAssocittadini -. Fatto che finisce per minare la qualità degli interventi». Comè andata lo sintetizza il gip Carini, evidenziando le singole responsabilità dei sanitari: «Il Di Lorenzo e il DElia per avere omesso il drenaggio dellascesso e della vescica e il DElia e lo Sforza, una volta eseguiti tali trattamenti nellambito del successivo ricovero, per non averli effettuati compiutamente. Tanto che - affonda Carini - il decorso ne ha imposto un terzo ricovero dall11 luglio al 25 agosto». Degenza durante la quale unecografia (14 luglio) e una risonanza magnetica (19 luglio) - fatto confermato ad agosto anche da un consulente infettivologo - rilevarono una raccolta ascessuale fluida incompatibile con un reale svuotamento. Non basta. Il Di Lorenzo sarebbe colpevole nel corso del trattamento ambulatoriale (l8 ottobre) di avere rimosso e non riposizionato il catetere. «Il paziente raccontò ai familiari - aggiunge Bernardi - che al presidio non erano stati capaci. Assurdo è un compito che qualsiasi infermiere sa fare».
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