La morale a due facce dei Radicali: quando erano loro a volere deroghe

RomaI radicali viaggiano a targhe alterne. Non per abbassare il livello di «smog politico», ma per zigzagare nelle pieghe del diritto e tagliare il traguardo: il loro. Già, perché se oggi arrivano a sdraiarsi per terra per impedire che i rappresentanti di lista avversari arrivino a consegnare firme e documentazione in tribunale, ieri si spiattellavano davanti a Palazzo Chigi per ottenere una proroga di una scadenza elettorale. Se oggi corrono a depositare ricorsi per contestare le firme raccattate da Formigoni, ieri pretendevano un decreto che salvasse i loro referendum. Se oggi galoppano a chiedere addirittura una perizia calligrafica sulle firme raccolte dal governatore della Lombardia, ieri, anzi oggi, inciampano su due firme-patacca perché raccolte senza l’autenticatore.
Sempre e comunque intransigenti e cavillosi, i radicali, ma pro domo loro. Come nel marzo del 1995 quando Pannella, in affanno per presentare le sue di firme in vista delle elezioni del 23 aprile, fece il diavolo a quattro con i soliti bavagli e sit-in. Bussò più volte alla porta dell’allora premier Lamberto Dini e l’ebbe vinta: prorogati i termini di presentazione delle liste tramite decreto legge. «Un positivissimo atto dovuto» esultò Marco Giacinto; «una vergogna» ribattè il ciccidino Francesco D’Onofrio; «un atto gravissimo», dissero in coro Altero Matteoli (An) e Luciana Sbarbati (I democratici). Praticamente il radicale si tirò addosso le ire del Parlamento intero anche perché si rischiò di mandare a monte le elezioni: la campagna elettorale, infatti, s’era improvvisamente ridotta a 23 giorni invece dei 25 regolamentari. Si sarebbe potuto rinviarle di una settimana ma si sarebbero sovrapposte alla campagna elettorale dei referendum e poi sarebbero state a rischio anche le elezioni politiche che, allora, si pensava potessero avvenire a giugno. Inoltre c’erano dubbi di incostituzionalità. Insomma, un pasticciaccio. Se ne uscì con un escamotage tutto italiota: bocciato il decreto ma via libera a una leggina che ne recepiva i contenuti e aggiungeva: «La durata della campagna elettorale è conseguentemente ridotta a giorni ventitrè».
Anno precedente, febbraio: anche in questo caso Pannella insistette per ottenere una proroga dei termini per il deposito delle firme in Cassazione per indire i tredici referendum promossi da radicali e Lega. Così, a forza di digiuni, arrivò il solito decreto «salva Giacinto» grazie all’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino. In quel caso fu la sinistra a ribellarsi: «Non si capisce perché il governo avverta solo le urgenze di Pannella e, mentre lascia cadere nel vuoto la legge sull’obiezione di coscienza, si impegna a prorogare per decreto la scadenza per la raccolta delle firme ai referendum», ringhiò Ersilia Salvato (Prc). In pratica prima Senato e poi Camera convertirono in legge un provvedimento che dribblava la regola secondo cui la convocazione dei comizi elettorali per il rinnovo del Parlamento deve bloccare ogni tipo di iniziativa referendaria, raccolta delle firme compresa. Elezioni alle porte, vista la necessità di rinnovare il cosiddetto «Parlamento degli inquisiti», e ciambella per i quesiti pannelliani: insomma, un regalino al radicale per le solite squisite questioni politiche.
Rigorosamente tecniche, invece, le attuali contestazioni alle firme racimolate dai loro avversari: questa non va, questa è farlocca, questa è doppia, si faccia perfino l’esame della grafìa. Tignosi e puntigliosi con gli altri, più laschi e concilianti con loro stessi. Come a Lodi, dove in piazza Broletto, proprio sotto il palazzo che ospita il Comune, un radicale è stato beccato a raccogliere due firme senza l’autenticatore. Funzionari della Digos in azione e imbarazzo: «Oddio, dove è il consigliere comunale autenticatore? Forse al bar...

Due minuti fa c’era...». Il consigliere era in Comune, comunque assente. Il radicale si difende: «Chi ha chiamato la Digos, il regista del blitz, di fatto ha autenticato che le firme erano regolari. Non siamo come gli altri. O no?».

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