Per la penultima generazione dei cronisti di nera, il maresciallo Ferdinando Oscuri era una leggenda. Ancora un paio danni fa, quando era in pensione da tempo, e le vicende di cui era stato protagonista facevano ormai parte della storia della città e non della sua cronaca, alle richieste di intervista rispondeva garbato «No grazie». In questo, in fondo, non era dissimile dai suoi avversari, dai banditi cui aveva dato la caccia per tutta la vita, ma di cui aveva la fiducia e il rispetto: «Un uomo è padrone dei suoi silenzi e schiavo delle sue parole», era il motto dei protagonisti di quella Milano nera. Il motto valeva da una parte e dallaltra, tra i buoni, tra i cattivi, e in quella zona grigia dove i due universi si incrociavano e dialogavano.
Il maresciallo Oscuri se ne va, in silenzio come era vissuto, ieri mattina. Aveva ottantanove anni, ed era in pensione da trenta. Le notizie di agenzia, ieri, lo celebrano come «il poliziotto che arrestò Vallanzasca», ed è vero che fu lui a mettere fine alla fuga del bel Renè. Ma non è di quella impresa che Oscuri andava più fiero. Daltronde la gloria mediatica di quellarresto se la prese tutta Achille Serra, allora giovane funzionario della Squadra Mobile, che già dimostrava le straordinarie qualità di public relation man della Polizia che ne avrebbero accompagnato la carriera.
Ad Oscuri la cosa non disturbò affatto. Non gli davano fastidio gli articoli che lo citavano di tanto in tanto, ma non è che vivesse per collezionare ritagli di stampa. I marescialli e gli ispettori costituivano allora - e avrebbero continuato a costituirlo fino agli anni Novanta - la vera ossatura della polizia milanese, come i brigadieri erano la vera spina dorsale dei carabinieri. Antonio Farenga, Giacomo Siffredi, Mario Tornabene: e lui, Ferdinando Oscuri. Sono questi i nomi dei moschettieri che erano gli orecchi e la testa della polizia milanese.
È morto il maresciallo Oscuri Nel 72 arrestò Vallanzasca
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