Michele Anselmi
Si devono anche a lui alcune di quelle definizioni impertinenti che mandano in bestia gli interessati. Del tipo: «Giuliana De Sio: la Melato immaginaria»; «Serena Grandi: sotto il vestito gente»; «Nanni Moretti: la mousse è finita». Matteo Spinola è morto ieri, in un ospedale di Cetona. Aveva 76 anni, almeno cinquanta dei quali spesi nello spettacolo: prima come attore di film e sceneggiati, poi come press-agent di cinema, teatro e tv. Uomo gentile, di bell'aspetto, dotato di una voce calda dalla cadenza modenese (era di Carpi), è stato un'autentica istituzione nel brulicante ambiente in questione, specie nei cinque lustri in cui fece ditta con Enrico Lucherini. Coppia a suo modo diabolica, formatasi nel 1960 e destinata, nel campo delle public relations, a fare scuola: per il gusto sapido delle invenzioni, per la perfidia nel mettere una diva contro l'altra (la prediletta Sophia contro la poco amata Lollo), per il piacere di escogitare scandali, tradimenti e amorini con l'aiuto dei paparazzi.
Via Veneto, il Grand Hotel del Lido, Taormina, Cannes, casa Visconti sulla Salaria, le ville sull'Appia, La dolce vita con annessi e connessi: è in questo contesto, tra il colto e il «cinematografaro», che Spinola & Lucherini si mossero con scaltra agilità, facendo del proprio lavoro, sempre ben remunerato, una sorta di genere giornalistico. Ancora oggi si usa dire «lucherinata» a proposto di una notizia audace o succosa fatta filtrare ad arte. Tra i due, Spinola sembrava il più posato e responsabile, l'uomo dell'understatement, ma in realtà sapeva essere una belva: nel prendere in mano la carriera della Loren, sin dai tempi della Ciociara, dev'essersi divertito un mondo a curare l'immagine della diva, salvo poi, qualche anno dopo, rivelare maliziosamente nel libretto C'era questo, c'era quello, scritto a quattro mani col sodale, dettagli inediti e retroscena saporiti.
Non c'è star, da Richard Burton ad Anna Magnani, da Marlon Brando a Monica Vitti, che Spinola non abbia frequentato, spesso carpendone umori e sofferenze, tic e debolezze. In un divertente scambio di biglietti del '67, Lucherini rimprovera: «Matteo, la Lollo chiama in continuazione. Dice che l'hai pugnalata alle spalle con quelle foto nude sull'Espresso. È convinta che lavori in segreto per rovinarla». E lui, il giorno dopo: «Enrico, la Koscina è fuori di sé. Dice che racconti a tutti che lei ha dato i nomi alle galline del suo pollaio, a Marino, e che le presenta ai suoi ospiti». Cose impensabili oggi, e però quello era il cinema nel quale lo star-system dettava legge, con effetti anche buffi, ridicoli. Ma non sempre finiva così: basterebbe pensare all'elegante distacco con cui Spinola resocontò un incontro a cena con la Garbo, nel dicembre 1963.
Negli ultimi anni aveva lavorato sul fronte della fiction, per Mediaset. Diceva: «Forse il nostro ruolo è finito. Forse il lavoro di press-agent, un jolly impazzito in mezzo a un set che comunica con il mondo dei media, è superato». Chissà.
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