Trentin, che è morto ieri pomeriggio a Roma al policlinico «Gemelli» a causa di una polmonite, aveva ottant’anni. S’era iscritto alla Cgil nel ’46 dopo aver combattuto con la resistenza in Francia (dov’era nato) e in Italia. Nel ’58 è già vicesegretario, dal ’62 è segretario della neonata Fiom - la federazione dei metalmeccanici - e da quell’anno al ’72 è deputato del Pci. Diventa «numero uno» della Cgil nel novembre ’88 succedendo ad Antonio Pizzinato, l’ex operaio che parlava il russo. La cesura è netta: Trentin è un intellettuale che parla francese e inglese, e che ha studiato anche ad Harvard.
Quando, nel ’92, l’Italia sprofonda nella crisi politica ed economica, Trentin è a capo di una delle poche forze organizzate del Paese, e ne sente tutta la responsabilità. Con Sergio D’Antoni e Pietro Larizza, segretari di Cisl e Uil, negozia un protocollo che prevede il superamento definitivo della scala mobile.
Per evitare la rottura nel sindacato, firma l’intesa e si dimette, in quanto quel «sì» era contrario al mandato che la dirigenza della Cgil gli aveva affidato. Le dimissioni vengono respinte, e Trentin firma anche l’accordo del ’93 con il governo Ciampi e la Confindustria sulla politica dei redditi. Nel ’94 Trentin lascia una Cgil ancora traumatizzata da quegli eventi. I fatti del ’92 l’hanno seguito come un’ombra in tutti questi anni. Ora il segretario della Cgil Guglielmo Epifani parla di «lezione di grande rigore, di autonomia, di difesa del valore della confederalità». E la sinistra politica e sindacale - da Giorgio Napolitano a Franco Marini, da Bertinotti a Prodi - ne ricorda, a posteriori, il coraggio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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