La Mostra del cinema sa ridere del cinema

"La passione" di Mazzacurati è una commedia grottesca su un regista in blocco creativo: un film autoironico su piccole e grandi ossessioni di questo mondo. Nel cast Silvio Orlando e Corrado Guzzanti, che per una volta ci risparmiano l’ideologia

La Mostra del cinema 
sa ridere del cinema

nostro inviato a Venezia

Al secondo film sui mestieri del cinema, la Mostra rischia un piccolo avvitamento ombelicale. Per fortuna, stavolta si tratta di una commedia e qualche volta si ride senza troppi retropensieri. Ci pensa Carlo Mazzacurati, regista de La passione, ad aggiungerli, riuscendo nell’impresa di togliere freschezza al suo stesso film quando dice che oggi «in Italia si vive un po’ come dentro una soap opera e se per caso te ne allontani una settimana, quando ci torni hai perso troppe puntate». In più, siccome abbiamo visto di tutto, «è come se non si riuscisse più a distinguere l’azione dalla sua parodia». E così è sempre più difficile far ridere... Che mestiere difficile è fare il regista... In Italia il cinema ha troppi nemici... E avanti così.
Depurata dalla verniciatura ideologica antiberlusconiana rimasta implicita, La passione, seconda opera italiana in concorso (producono Fandango e Raicinema con il contributo dei Beni culturali, uscita il 24 settembre) è una commedia sulla solitudine del regista che arriva dopo quello della Coppola sulla solitudine dell’attore. Oggi, poi, si vedrà 20 sigarette, protagonista un altro regista, in prima linea a Nassirya. Quella di Mazzacurati però è una storia dal registro grottesco, tagliata sulla faccia da clown triste di Silvio Orlando («È la commedia poetica che mi sono sempre aspettato di fare») nella parte di Gianni Dubois, regista in crisi creativa che non fa un film da cinque anni. Ora si presenta l’occasione di dirigere per il suo debutto al cinema Flaminia Sbarbato (Cristiana Capotondi), reduce da una fiction tv di grande successo. Ma l’idea giusta non viene neanche a pagarla. Per di più, ricattato dalla sindachessa del paesino toscano (Stefania Sandrelli) dove possiede una casa, il regista sfigato è costretto a mettere in scena la sacra rappresentazione della passione di Cristo. E mentre da Roma l’agente incalza sfiduciato, l’attricetta bizzosa scalpita e un quotidiano lo esclude dalla classifica dei 100 registi italiani più importanti - vero tormentone del film - sulla testa del povero Dubois si addensano anche le nuvole di Abbruscati (Corrado Guzzanti), cupo metereologo della tv locale che, per interpretare il Nazareno, chiede cachet e macchina, e filosofeggia su cinema e teatro-realtà (stupenda la gag «la gommapiuma ha ucciso il teatro»). A motivare Dubois nell’improbo compito restano l’improvvisato aiuto-regista Ramiro Caroman (Giuseppe Battiston) e l’interesse per Caterina (Kasia Smutniak), misteriosa barista polacca del paesino.
Dove non riesce la tecnica o latita la collaborazione delle istituzioni locali soccorre la fantasia e così, alla seconda fotocopiatrice guasta, l’aiuto regista trasforma in dettato per una classe elementare il testo del sacro copione. Alla fine, tra piccoli colpi di scena e un’infinità di contrattempi, la rappresentazione va in scena…
Scritto e recitato in modo corale, La passione è un’opera dal sapore artigianale in parte autobiografica che alterna momenti felici (meraviglioso il refuso nel testo dell’ultima cena: «Prima che il gatto canti, mi tradirai tre volte») a gag prevedibili (il divano-letto che non si vuole aprire). A Mazzacurati, infatti, è capitato davvero di realizzare una rappresentazione sacra. Però dice: «Non ho voluto fare un film su un regista, ma sulla paura di perdere l’ispirazione che qualche volta mi prende. È il timore di non avere più l’idea buona, oppure di non avere la parola giusta da dire alla troupe. È insomma la storia di un blocco creativo che alla fine si sblocca». C’è anche il cambio di ritmo finale, quando l’incedere rocambolesco del set cede il passo alla processione e Ramiro dà un volto credibile al Cristo.

«Questo è un film laico», rimarca Mazzacurati, «ma non è impossibilie vederci anche qualcosa di profondo. Tutti, anche i non credenti, possono ritrovarsi nella derisione del capro espiatorio e in un povero cristo che si sovrappone al Cristo della scena».

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