Il mostro gela l’aula: «Ho solo stuprato, non ucciso»

Oggi quell’orrore ha il sapore di muffa di una vecchia cantina e quattro facce incolore. Solo buio, odore di marcio e stupri. Per ventiquattro anni. Quando non piove troppo, vanno tutti in giardino. Elizabeth e i suoi bambini. Facce tristi senza colore. Restano in giardino per ore. Respirano, annusano l’aria, toccano l’erba, le foglie. Il più piccolo non riesce ancora ad uscire senza gli occhiali da sole. La luce è troppo forte. Racconta sempre che il suo giorno più bello è stato quando è salito in macchina per la prima volta. Felix ha cinque anni. Prima di lui ci sono stati Lisa, Monika, Alexander Stefan e Kerstin. Tutti nati dall’incesto. Tutti venuti al mondo nella cantina-prigione ideata da Josef Fritzl. Il mostro. Per tre di loro è andata meglio. Lisa, Monika e Alexander sono stati portati neonati alla realtà e affidati alla nonna dal nonno-padre. Gli altri sono stati allevati come topi. Il piccolo con grossi ritardi cognitivi. Elizabeth oggi ha 42 anni e ne dimostra il doppio. Capelli bianchi e denti consumati. Pelle rovinata e invecchiata. I medici raccontano di lei come una mamma affettuosa. Questione di istinto, di amore incondizionato. Si tiene tutti i sei figli stretti vicino a lei. Abitano in una clinica vicino ad Amstetten. Gli psicologi e i medici cercano di risistemare vite da incubo. All’inizio lì abitava anche la mamma di Elizabeth, Rosemary. Dopo i primi abbracci qualcosa in Elizabeth si è rotto. L’ha cacciata, non riusciva a sopportare che i suoi figli chiamassero mamma quella che in realtà era la nonna. «Ci vorranno molti anni prima che la loro vita assuma una parvenza di normalità», dicono i medici. Si parla di una decina d’anni. Prima di tutto cambieranno tutti nome. Fritzl è un nome insudiciato. Con la nuove identità, le autorità austriache cercheranno anche una nuova casa. Lontano da Amstetten. Elizabeth intanto sta raccontando tutto dall’inizio. Dalle prime violenze a 11 anni. La prima gravidanza Elizabeth l’ha affrontata con un manuale che il padre gli aveva portato. Ha raccolto la bambina in una coperta sporca e le ha tagliato il cordone con una forbice arrugginita. Ha annotato tutto in un diario dove ha scritto ogni cosa. I compleanni dei bambini. Il dolore per la morte di quello che non ha retto.

«Non c’era acqua calda, termosifone e soprattutto niente luce del giorno e aria fresca». Poi racconta anche come tutto ha avuto inizio: «Mio padre mi ha chiesto di andare in cantina per aiutarlo a spostare una scala». Ci sono voluti ventiquattro anni perché lei risbucasse sulla terra.

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