La moto è diventata una malattia da curare

«Se la salute è un diritto costituzionale... il raffreddore è anticostituzionale?» Questo esilarante aforisma di Piero Ostellino fa ridere meno se si pensa che il diritto alla salute si sta trasformando in un dovere. Non ancora costituzionale, ma di certo per la legge. E fosse soltanto la salute: le norme per la sicurezza si infittiscono ogni giorno, chiudendoci in una gabbia di obblighi e di divieti che – se erano normali nella cultura moralistico/totalitaria del cattocomunismo – stonano maledettamente nel governo del Pdl. Che, occorre, ricordarlo, sta per Popolo della Libertà. Il quale ci aveva promesso che lo Stato si sarebbe occupato il meno possibile delle questioni private dei cittadini, come ha ricordato ieri il Secolo d’Italia.
Apprendiamo dunque che in Senato è pronto un disegno di legge per modificare un articolo del codice della strada che trasformerà i motociclisti in una via di mezzo tra i cavalieri medievali e certi guerrieri di Star Wars. Si parte dal casco integrale anche per i possessori di semplici scooter e – a mano a mano che si sale di cilindrata – si arriva ai guanti, alla «giacca tecnica» con paragomiti, al paraschiena integrale e ai «pantaloncini tecnici» con protezione di fianchi e ginocchia. Tutto ciò, si badi, non soltanto per chi intenda lanciarsi in autostrada alla folle velocità di 130 chilometri l’ora, ma anche per chi prende la moto per andare in ufficio o per comprare il giornale.
Viene subito in mente che qualcuno abbia voluto fare un favore ai fabbricanti di quei prodotti, che costano intorno ai mille euro. (Ricordate i vestimenti arancione iridescente che ci hanno fatto comprare – per la sicurezza – da tenere in macchina? Qualcuno sa ancora di averli?) Invece no: alcuni produttori sono preoccupati perché, magari, ci sarebbe un incremento d’affari nei primi tempi, ma alla fine il provvedimento diventerebbe un boomerang, «rischiando la paralisi del mercato delle due ruote».
Allora? Allora è ovvio che la smania regolamentatrice (altro che ministero per la Semplificazione) domina ancora nel nostro Parlamento. Dove, naturalmente, qualcuno si appellerà all’articolo 32 della Costituzione («la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»), e pazienza se quel «garantisce» suona irrimediabilmente falso. Il problema vero è dove debba finire la «tutela» nell’interesse della collettività. Per esempio, siamo tutti d’accordo che fumare nei locali pubblici è un danno anche per chi non fuma. Ma già si parla di leggi che proibiscano di fumare all’aperto – come se i gas di scarico delle auto non facessero molto più male – e addirittura nella propria auto. Avanti così e, fra non molti anni, un giudice potrà stabilire che in quanto fumatore cronico non ho la capacità di intendere né volere e verrò affidato a un istituto di punizione-guarigione come soggetto pericoloso e irrecuperabile per la società e la salute pubblica. Perché non ci saranno più limiti al controllo dello Stato sulla vita del cittadino. Nel frattempo, visto che le bronchiti, i raffreddori, le influenze costano molto allo Stato quanto ai cittadini, si abbia il coraggio di imporre per legge – anzi per decreto legge – la maglietta della salute obbligatoria.
La salute, infatti, è ormai obbligatoria. Non più diritto, ma dovere supremo del cittadino e valore massimo dello Stato, in quanto prova di salute morale. Ogni libertà costituzionale e personale deve dipendere da questa premessa. Comportamenti individuali diversi sono malattie che provocano altre malattie, morte e una spesa pubblica in più. Dopo il fumo si passerà all’alcol, poi ai cibi grassi. Insomma, lo Stato deciderà per noi cosa mangiare e bere. E come vestirsi in moto, certo, prima di imporre anche agli automobilisti il casco integrale e – perché no – la tuta ignifuga.
C’è da augurarsi che alla fine prevalga il semplice, sanissimo buonsenso, che sta nell’individuare l’interesse prioritario. Nel caso dell’abbigliamento dei motociclisti (che scelgono la moto proprio come simbolo e strumento di libertà), non c’è dubbio che debba prevalere la libertà di vestirsi come gli pare, a loro esclusivo rischio e pericolo. Nel frattempo si pensi piuttosto a liberare le strade dalle buche.
Per fortuna c’è già chi – fra i deputati e senatori-motociclisti del Pdl – è pronto a dare battaglia. «Mi vendo la moto, piuttosto», ha dichiarato il senatore Raffaello Vignali.

E al deputato Enzo Raisi sembra «un assurdo, un controsenso, che un partito come il Pdl, per sua natura portatore di una cultura liberale, possa emanare leggi sulla sfera individuale delle persone con una serie di obblighi».
Forza motociclisti. Lotta dura contro i pantaloncini tecnici. Anche se mai e poi mai salirei sui vostri giocattoloni.
www.giordanobrunoguerri.it

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