Roma - Professor Giovanni Orsina, uno storico e politologo liberaldemocratico come lei non può non plaudire alla svolta di grillini e leghisti sull'Europa. (sospiro nella cornetta del cellulare)
«Svolta. Sì, è una svolta. Per quanto valgano le svolte nella politica di oggi, poco legata ai principi ideali o alla conferma di quanto detto pochi giorni prima...».
Politica liquida.
(secondo sospirone).
«Non esclude o preclude controsvolte. Se il 2016 è stato l'anno del populismo o, meglio, del sovranismo, questo 2017 potrà essere l'anno del riflusso. Riflusso molto temporaneo, aperto a ripensamenti».
Non si fida di Di Maio, forse neppure di Salvini. Ma il forse-candidato premier grillino ha detto chiaramente che non si esce dall'euro. Il referendum, al massimo, sarà usato per ottenere maggiori concessioni da Bruxelles.
«Credo che l'affievolirsi (forse-temporaneo) dell'antieuropeismo abbia altre cause. Sarà comunque legato, nel futuro prossimo, a quello che l'Europa ci darà domani. Mi chiedo: i problemi dell'euro-zona sono forse risolti? Quando finirà il quantitative easing di Draghi, il problema del debito pubblico italiano siamo sicuri che non riesploda? E con la vittoria della Merkel, davvero l'asse franco-tedesco procederà con le riforme di un'Europa che funziona malino?».
Alla luce di queste domande pare affievolirsi pure il referendum di Di Maio.
«Mi chiederei, ancora, che tipo di vittoria avrà la Merkel e che tipo di governo farà. Se la coalizione fosse con i liberali, per esempio...».
Guai in vista per tutti noi mediterranei, suppongo. In ogni caso, è positivo che anche Salvini veda ormai l'Europa in modo diverso. Il tema delle migrazioni si cavalca meglio?
«Di sicuro l'euro non rappresenta più un problema drammatico, l'economia ha ripreso a marciare, anche in Italia va lievemente meglio. L'uscita dall'euro resta un caos infernale che funziona bene solo in termini di propaganda...».
Persino controproducente, visto che spaventa molto l'elettore più che aizzarlo.
«Concordo. È un bene che Salvini abbandoni certi toni sull'Europa, perché lo rende più credibile. Contano però i tempi, e certi passaggi non conviene farli troppo presto... Conta una gestione strategica, in vista dell'eventuale alleanza con Forza Italia. Se diventa meno anti-Ue, rischia di confondersi troppo con Berlusconi».
Potrebbe definirsi il «paradosso di Salvini».
«Già. Per essere il più forte della coalizione deve calcare la mano sul sovranismo. Se esagera o diventa troppo forte, indebolisce la coalizione».
Questo populismo, o sovranismo, è un'arma a doppio taglio in tutto l'Occidente.
«Non è però il problema, bensì una conseguenza di una crisi della politica nelle democrazie liberali. Crisi preconizzata da Toqueville nel secondo libro di Democrazia in America».
L'autodelegittimazione della politica è diventato ormai il suo cavallo di battaglia.
«È un processo nel quale la politica si nasconde, e felicemente partecipa alla propria devastazione, dissoluzione. Un fenomeno drammatico che affonda le radici nel funzionamento interno della democrazia stessa. In quella grande promessa di piena autodeterminazione individuale che un vero democratico deve prendere cum grano salis, con piena consapevolezza dei limiti sui quali si fonda e ci si autodetermina. Altrimenti, diventa una pretesa pericolosa e totalizzante, il virus che condanna a morte la democrazia».
Una critica radicale della democrazia. Siamo di fronte al paradosso del «sincero democratico»?
«Meglio che la critico io, che cerco di difenderla.
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