Manchester - C’è un momento nella vita in cui non è più possibile scappare: dal destino certo, o magari solo da un incontro di calcio. Nove mesi dopo di vita interista José Mourinho ha scelto il posto migliore, la casa dei campioni del mondo, l'unico luogo dove il suo ego possa ritenersi soddisfatto: qui e solo qui, José può giocarsi il suo destino, può mettersi a sedere al tavolo dove ha sparpagliato le sue parole come fiches, quello che per tutti era solo un bluff e che invece per lui è solo Verità. Cioè che lui non è il Migliore, ma come lui non c'è nessuno.
C'è un'aria strana qui a Manchester, come un esame all'università quando hai studiato sodo ma al momento decisivo - davanti al professore - potresti anche dimenticare tutto. Mourinho è a un passo dall'interrogazione e ha la Faccia della Vigilia, ma questa volta non può più nascondersi dietro il paravento di parole che usa ad Appiano Gentile per ridere di noi, di tutti, di quelli che non credono che vincerà tutto. Questa volta, insomma, è il Giorno del Giudizio, atteso da chi non lo ama, ma anche da chi vuole illudersi che sia lui l'allenatore che ridarà colore a quelle vecchie fotografie di papà. E inteso non solo a quelle di papà Moratti. L'esame è oggi, nel Teatro dei Sogni, con quel morso che ti prende allo stomaco quando sai che non c'è domani. E oggi, infatti, il domani è finito. E allora eccolo José Mourinho che si siede e ti guarda come se fossi piccolo piccolo, nella sua guerra ormai quotidiana contro quelli che lo vogliono «così», perché «se vi piace un certo tipo di conferenza stampa io non parlerò più della mia squadra, chi gioca lo vedrete domani».
Nervoso? No, certo, José è come lo racconta Sir Alex Ferguson: «Fiero, orgoglioso». È come lo racconta uno che lo conosce bene, perché su tredici incroci il Barone del Manchester ne è uscito vivo una volta sola e nelle ultime quindici partite dello United c'è stata solo una squadra che l'ha costretto a un pareggio e per 0-0: l'Inter di Mourinho. «Continuerà? Perché no...», dice José con il solito ghigno, perché per lui non è cambiato nulla neppure oggi. Non c'è domani? Non c'è novità. Perché il giorno in cui la fuga è impossibile in fondo sembra come tutti gli altri. Però lui ti sfida sempre - come fa d'altronde con la vita - facendo comparire al suo fianco Muntari, quello che rischiava di non partire perché aveva lasciato a casa il passaporto. Così José ride e ti guarda mentre Sulley dice «io non sono perfetto, voi forse lo siete?».
E José gioca pure, perché nessuno sa se il ghanese sarà davvero in campo stasera, nel domani che non c'è più, nella partita che Mourinho dice che in fondo non è così dura come sembra, perché loro - i campioni del mondo - non sono poi così favoriti. Loro non sono come lui. E già, nel giorno in cui non si può più scappare lui c'è e ti guarda negli occhi: in palio c'è la solita bottiglia di vino da 300 sterline che lui e Sir Alex si scoleranno comunque vada alla fine - Sassicaia all'andata, "Chateux de Vinegar", che da questa parti si traduce aceto, dice scherzando Ferguson pregustando il ritorno - ma c'è anche di più. C'è un mondo, il suo, che balla su un equilibrio sottile e il cui filo José rende sempre più sottile: «Adesso venite a vedere l'allenamento, io non ho niente da nascondere...».
Già, è come quella volta all'università, che per la cronaca finì con quello davanti che si prende a male parole con chi lo interroga e con te che - improvvisamente - vieni acceso dallo choc e
finisci per ricordare tutto. Promosso, insomma, così come ha già deciso José: «Sarà una partita divertente? Lo spero, soprattutto quando sarà finita». E chissà perché, mentre lo dice, ha già la faccia del professore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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