Paolo Giovanelli
da Milano
Il miglior modo per evitare il divorzio è quello di non sposarsi: lunedì (dopodomani) il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, e quello di Genova, Giuseppe Pericu, dovevano incontrasi nella città piemontese per arrivare a una decisione sulla fusione tra Aem Torino e Amga Genova. Il rischio di una rottura era altissimo: dopo lunghe trattative la distanza sulla valutazione delle rispettive quote restava troppo lontana e nessuno era disposto a cedere. Così si è scelta una quasi-rottura morbida: lincontro non si farà e gli advisor continueranno a trattare. Fino a quando, non si sa. Ma in questo modo si lascia uno spiraglio per un futuro, difficile, accordo.
In Borsa Aem Torino vale circa un miliardo, Amga è poco sopra i 600 milioni: i genovesi cercavano la parità in qualche modo. Più che di governance vera e propria, era una questione politica tra due amministrazioni dello stesso colore. A suo tempo un noto professore universitario e importante manager di una utility padana aveva proposto al presidente di Aem Torino, Franco Reviglio, di mettere in comune partecipazioni identiche, lasciando fuori la quota in eccesso che fa capo ad Aem, che avrebbe potuto essere utilizzata in modo diverso. Non se ne fece niente. E pensare che lintegrazione porterebbe ad entrambi consistenti vantaggi: i genovesi sono più forti nel settore acqua (con la Smat di Torino hanno acquisito Acque Potabili dallEni) e nella distribuzione (hanno una diffusa presenza nel sud est del Piemonte), i torinesi hanno da parte loro importanti impianti di produzione.
Così ora Aem Torino fa rotta sulla valdostana Cva, che porterebbe in dote le sue centrali idroelettriche, mentre Torino è più forte nel termoelettrico, pur disponendo anche di impianti ad acqua. Senza contare che ambedue hanno importanti reti nelle proprie aree.
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