Muore l’ultimo dittatore stalinista La Corea piange ma il mondo no

Muore l’ultimo dittatore stalinista La Corea piange ma il mondo no

La Corea del Nord piange, per le strade, alla tivù e alla radio di stato la morte del suo «Caro Leader». Così veniva chiamato Kim Jong-il che, dal 1994, era il padrone incontrastato del Paese. Pur con tutto il suo potere, che spaziava dal gingillarsi con l’atomica ai rapimenti all’estero, Kim si era dovuto «accontentare» di questa carica. Suo padre, Kim Il-sung (1912-1994) il fondatore dello Chunch’e o comunismo alla coreana, dopo la morte è diventato «Presidente eterno», impedendogli di assurgere a titoli più altisonanti. Ed è difficile distinguere tra le manifestazioni di dolore imposte, chi non è abbastanza addolorato rischia grosso, e quelle prodotte da lavaggio del cervello. Infatti in Corea del Nord internet non esiste e le radio hanno il sintonizzatore piombato sul canale di stato. Ufficialmente Kim Jong-il, notoriamente amante del cognac e delle belle donne, è morto a 69 anni, stroncato da un infarto, alle 8,30 di sabato mattina, mentre stava viaggiando sul suo treno blindato. Causa della morte secondo l’autopsia ufficiale? «Il super lavoro per la causa del popolo». Ora la tenuta dell’ultimo regime stalinista (ma la definizione è impropria perché Stalin non è disceso dal cielo su un cavallo alato e Kim -secondo i coreani- sì) è saldamente nelle mani dei militari. Il suo terzogenito Kim Jong-un è stato designato ufficialmente il «grande successore», ma è tutto da chiarire il passaggio e l’assetto dei poteri reali, al punto da giustificare l’allerta massima da parte di Corea del Sud, Stati Uniti e Giappone. Perché se tutto a Pyongyang, a partire dai titoli altisonanti, ha il sapore della farsa, è una farsa recitata in uno dei più grandi arsenali del mondo.
E se è difficile fare previsioni, anche solo guardare al passato può far venire i brividi. Raccontare infatti la vita e la carriera di Kim Jong-il significa dover collegare, una sequela di fatti e notizie che in qualunque altra parte del mondo apparirebbero come surreali. Tanto per dire ecco come inizia la biografia ufficiale dell’ex leader (L’adorato Kim Chong-il, in italia edita da ObarraO): «L’adorato compagno Kim Jong-il... è un grande uomo nato, nell’umiltà, sul monte Paektu, monte sacro della rivoluzione: “Il figlio del comandante è disceso sul monte Paektu, montando un cavallo alato”». Dà l’idea di quanto siano obiettive le fonti ufficiali. Quanto a quelle ufficiose raccontano un bambino diverso, che potrebbe anche aver ucciso uno dei suoi fratelli. Nel 1947 quando Jong-il aveva cinque anni il suo fratellino Shura di tre, che stava giocando con lui, finì in un laghetto, forse non per caso. Annegò. Ma se questa è leggenda nera, è una certezza che il caro leader, che ha sempre pensato di essere anche un geniale regista, abbia fatto rapire l’attrice Sud coreana Choi Eun-hee. Rimase nelle sue mani per mesi e costretta a partecipare a festicciole dove si ballava il fox-trot. Ma è solo uno dei tanti rapimenti (si è a lungo parlato di giapponesi prelevati dai commandos nord coreani sulle spiagge per insegnare la lingua alle loro spie) organizzati da questo «estroso ragazzo» che è diventato famoso anche per il look dittatoriale tutto suo: occhiali scuri, giacchetta marrone, sorriso da play boy...

Insomma se i coreani piangono per forza (12 giorni di lutto) nel resto del mondo non si versa una lacrima e a Seul si festeggia. In fondo si potrebbe pensare che la situazione a Pyongyang può solo migliorare. Ma è così detto? I militari della Nord Corea ieri hanno fatto un bel test missilistico.

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